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logo ILSALo studio "consulente agronomo" , da sempre, offre anche consulenza per la realizzazione di programmi di concimazione personalizzati a seconda delle necessità aziendali e dell'agricoltore.

Da oggi continuerà a farlo ma sposando in pieno la filosofia e i prodotti per la nutrizione e biostimolazione di "ILSA" , il cui slogan è "the green evolution" . Andando a leggere l'idea, la filosofia di ILSA ( https://www.ilsagroup.com/it/home/ ) verrebbe da pensare si tratti di un innamoramento del nostro studio per le parole; in realtà prima di accordarci con ILSA per questa collaborazione abbiamo voluto conoscere meglio il "mondo ILSA" andando anche a visitare l'impianto e a studiare i processi di produzione dei prodotti per la nutrizione (concimi "intelligenti", in grado di modulare il rilascio dell’azoto in sincronia con la domanda delle piante e in linea con i nuovi concetti di agricoltura sostenibile) e la biostimolazione (prodotti ad azione specifica a base di molecole e sostanze naturali capaci di agire sul metabolismo primario e secondario delle piante) delle piante.

Si tratta di prodotti Biostimolanti e prodotti ad azione specifica, fertilizzanti organici ed organo minerali, solidi e liquidi, per l'agricoltura convenzionale e biologica, in grado di aumentare la qualità e le rese produttive, soddisfacendo al meglio le esigenze di agricoltori sempre più specializzati e rispettosi dell'ambiente.

Per cui Consulente Agronomo entra a far parte del progetto "ILSA IN CAMPO" che prevede la l'opportunità per le aziende e gli agricoltori di avere a disposizione tecnici specializzati e professionali in grado di valutare le necessità nutrizionali della pianta e consigliare/proporre i prodotti adatti ad ogni momento di crescita, di sviluppo e di produzione della coltura.

Come sempre, per maggiori informazioni e richieste di consulenza potete contattarci attraverso la pagina contatti sul nostro sito.

 

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20170629_135945Sono Antonio De Masi, uno dei due professionisti che offrono servizi nel settore agricolo all'interno di questo stesso sito. Qualche settimana fa ho scritto un articolo di presentazione della mia azienda vitivinicola "Il Dilucolo" e dei miei vini:

  • IGT COSTA TOSCANA VERMENTINO
  • IGT COSTA TOSCANA ROSSO

Per chi interessato a conoscerli può contattarmi attraverso la pagina contatti di questo sito, oppure attraverso la pagina facebook Il Dilucolo, oppure attraverso l'indirizzo e-mail demasivino@gmail.it ; altrimenti può acquistarli direttamente attraverso il sito www.agricoltorebio.it e conoscere la mia azienda e i miei vini da vicino cliccando qui .

Antonio De Masi

 

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20170629_135945Ho il piacere di presentarvi, all'interno del mio sito professionale, la mia piccola azienda vitivinicola. Si trova in Toscana e più precisamente a Cecina (Livorno) a 4 km dal mare.

Il vigneto di un ettaro ha una giacitura in parte pianeggiante e in parte leggermente declive. I vitigni a bacca rossa coltivati sono Merlot, Sangiovese, Syrah; mentre il Vermentino è l'unico vitigno a bacca bianca. Seguo direttamente le operazioni colturali; solo i trattamenti fitosanitari , concimazioni e le lavorazioni del terreno vengono effettuate da un amico in forma conto-terzista.

L'azienda non possiede la certificazione di agricoltura biologica, ma il principio su cui si fonda il mio lavoro e quindi la conduzione del vigneto è comunque quello del rispetto dell'ambiente, della pianta e della sua fisiologia. Gli interventi fitosanitari sono ridotti al minimo; ogni mia scelta infatti, dalla potatura invernale alla concimazione e dalla gestione della parete fogliare a quella delle uve, ha l'intento di "rafforzare" la pianta: una pianta in salute e ben gestita è sicuramente meno soggetta ad attacchi da parte di insetti e funghi.

Il 2016 è l'anno della prima raccolta per l'azienda "Il Dilucolo". I vini in bottiglia prodotti:

- IGT COSTA TOSCANA VERMENTINO 2016

facondia etichetta

 

 

 

 

 

 

 

- IGT COSTA TOSCANA ROSSO 2016

Polìzelo etichetta

 

 

 

 

 

 

 

Il nomi dell'azienda e dei vini sono nati per gioco, insieme al mio caro amico Marco Arzilli il quale mi ha dato l'idea di ricercarli tra le parole desuete della nostra lingua italiana. Da questa idea è iniziata quindi la ricerca, attraverso internet e alcuni libri, di questi nomi: così quando ho trovato che "Il Dilucolo" indica il primo albeggiare ho pensato subito che questo poteva essere il nome della mia azienda.......spesso, infatti, lavorando nelle primissime ore del mattino nella vigna mi sono trovato ad ammirare l'alba che sembra nascere proprio da questa collina.

"Facòndia" - facilità di parola, scioltezza ed eleganza di espressione - ho pensato potesse richiamare appunto i profumi e l’eleganza di questo Vermentino, insieme alla componente alcolica che come sappiamo può “facilitare la comunicazione”.

"Polìzelo" - atteso con ansia e trepidazione - rende bene l'idea della curiosità con cui ho atteso, appunto, questo vino.....frutto di un’attenta selezione delle uve rosse Merlot e Sangiovese prodotte e per la cura della vinificazione.

20170701_000532

Vi invito quindi con grande piacere a seguire questa azienda, anche attraverso la pagina facebook "Il Dilucolo"

 

ANTONIO DE MASI

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città dell olioQualche settimana fa, a Pesaro, in occasione di un convegno su “Biodiversità olivicola – leva di marketing per l’olivicoltura italiana”, organizzato dall’ Enohobby dei Colli malatestiani in premessa della consegna dell’Orciolo d’Oro, il prof. Fontanazza ha parlato di un’Italia che accusa un forte bisogno di Olio extravergine di oliva. Volendo e dovendo dare una risposta alla domanda interna ed esterna di olio extravergine di oliva, ci sarebbe la necessità – a detta del prof. Fontanazza – di impiantare altri 600mila ettari di olivi da aggiungere al milione e poco più di ettari attualmente censiti.

L’illustre relatore ha parlato di nuovi impianti e non degli olivi e oliveti abbandonati che, facendo una ricognizione delle situazioni nelle principali regioni olivetate, sono un buon 40% del milione e più di ettari di olivi censiti. In pratica, tra le superfici da recuperare e quelle da coltivare con nuovi impianti, questo nostro Paese ha un enorme bisogno di olivi (paesaggi) e di olio extravergine (immagine di bontà e salute). Basterebbe solo programmare questo recupero e questa nuova espansione della cultura e dotarsi di una strategia di marketing, sostenuta anche da una rete di strutture permanenti, per fare dell’olivicoltura il momento di rilancio di quell’ “agricoltura contadina”, la sola di cui ha bisogno questo nostro Paese per utilizzare e affermare il ricco patrimonio di biodiversità e l’origine della qualità.

Per procedere seriamente al recupero dell’Appennino che, rischia invece, di apparire ancora una volta osso da rosicchiare e, questa volta definitivamente, per appagare quanti hanno tutto l’interesse di avere in mano questo immenso territorio per altri fini. Viene da pensare alla fascia costiera che, da qualche decennio a questa parte, ha registrato un’accelerazione del processo di furto e abuso del suo territorio con il risultato che il 51% dei litorali italiani è stato divorato da colate di cemento e asfalto. Ben 3.300 chilometri dei 6.500 dalla fascia costiera (dati Legambiente) trasformati in modo irreversibile e, con la nuova legge Madia, questo processo troverà un’accelerazione e non un blocco. Un processo che tocca il resto del territorio italiano che, dopo l’invasione della pianura padana e l’impossibilità nei fatti di procedere, si va alla ricerca di terreno lungo l’Appennino, cioè nel centro e nel sud, e – si guardi bene – non per una nuova occupazione, ma per togliere quella poca che c’è ed è quasi tutta nelle campagne.  Non a caso si parla di un nuovo esodo di 5 milioni di meridionali che – è bene tenerlo presente – è già cominciato con i tanti giovani che staccano il biglietto di solo andata.

Se il territorio – bene di tutti – è la sola ricchezza rimasta, è evidente la necessità di bloccare il furto e la sua distruzione, cioè le due azioni che portano a far scappare i protagonisti veri della nostra agricoltura contadina. Parlo dei tutori di paesaggi, tradizioni e ambienti quali sono sempre stati i coltivatori, e, con essi, a far venire meno il compito primario dell’agricoltura che è quello di produrre cibo, cioè l’energia primaria del mondo animale e dell’uomo in particolare. E, del cibo, quel prodotto unico che è l’olio extravergine di oliva, filo conduttore della Dieta mediterranea, cioè di uno stile di vita che previene malattie e aiuta a stare in salute.

Serve ricordare che il territorio e l’olivo o, se volete, i territori degli olivi e degli oli, hanno ispirato la Carta dei Fondamenti sulla quale è stata costruita l’Associazione Nazionale delle Città dell’Olio, e il rispetto di questi fondamenti hanno portato a far vivere e rendere vincenti programmi e sogni che sono tanta parte del ruolo svolto dall’Anco nei suoi quasi ventidue anni di vita. Un tempo che ha inciso molto sui processi di crescita, soprattutto culturale, di un mondo, quello dell’olivo e dell’olio, che ha già fatto il giro di boa per cogliere nuovi esaltanti obiettivi.

Si tratta di prendere atto di questa “rivoluzione” e cercare di guidare nel migliore dei modi i processi e, così, rendere sempre più prossimi i traguardi che l’olio deve tagliare da vincitore.

Che fare? Sarebbe bello leggere che il sindaco di una città dell’olio annunci la decisione, presa all’unanimità del Consiglio, di affiancare al nome della città e al simbolo dell’Anco, l’olivina firmata da Ro Marcenaro, la scritta “Territorio intoccabile”. E, anche, che dopo aver proceduto a fare un’analisi della realtà del suo territorio, convoca pubbliche assemblee per riferire del quadro della situazione dell’olivicoltura, e, insieme, discutere sul da farsi per avviare il recupero degli olivi e oliveti abbandonati. Pensare a dar vita a forme associative collegate ai compiti e finalità dell’agricoltura sociale in grado di riportare questi olivi a produrre, per poi raccogliere, trasformare e ottenere un olio da promuovere, valorizzare e mettere a disposizione del consumatore.

Un “territorio intoccabile, città dell’olio”, che rilancia e espande la sua olivicoltura, privilegia i produttori ancora attivi e coinvolge i soggetti svantaggiati per non continuare a vivere il muro del pianto e vedere l’abbandono una volta che le lacrime si sono seccate.

Una, due, dieci, cento città dell’olio sparse sul territorio italiano per ripartire dalle risorse e dai valori di questa miniera d’oro (la sola che abbiamo) e portare avanti un processo di recupero della fiducia, della partecipazione, del dialogo, della voglia di fare, premessa indispensabile per l’altro recupero, che è quello degli olivi e degli oliveti abbandonati.

C’è solo la curiosità di vedere chi inizia e vuole, così, diventare esempio anche per altre situazioni e realtà, e, rispondere con i fatti alle nuove leggi “Agricoltura sociale” e “Biodiversità”, e, anche, ad  altre norme che si possono considerare utili e, come tali, positive, se stimolano il cambiamento e, nel momento in cui aiutano a rendere “intoccabile il territori”, offrono opportunità e un futuro degno di essere vissuto, ripagando così le nuove generazioni.

Pasquale Di Lena
fondatore e presidente onorario delle Città dell’Olio

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b0d7d8c971b982fb6678172b9076bb96_LCon il monitoraggio del mercato dell’olio di oliva, il CNO si è posto l’obiettivo primario di rilevare in maniera organica e rappresentativa un insieme di informazioni sul settore olivicolo-oleario italiano con particolare riferimento a quelle che influenzano la domanda e l’offerta del prodotto.

Sono stati inoltre indagati aspetti, altrettanto rilevanti, relativi alle modalità di conduzione aziendale ed alle tecniche di produzione, nell’ottica dei servizi da predisporre o del miglioramento di quelli già predisposti dalle organizzazioni di produttori per i propriassociati. I dati rilevati, opportunamente analizzati ed all’occorrenza integrati con altre informazioni di carattere economico che influiscono più in generale l’andamento del mercato, sono sintetizzati, organizzati e discussi nelle pagine seguenti.....

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calabria olioIl congresso straordinario dell’AIFO, dopo 20 anni di attività associativa, si è concluso con una affermazione semplice e definitiva: l'olio extravergine artigianale esiste in Italia perché esistono 5000 frantoi oleari, perché si coltivano 500 cultivar, perché si esercita la professione del mastro oleario e quindi l’olio dalle olive può definirsi artigianale quando, in questo specifico contesto, è il risultato della sapiente creatività dell’artigiano, l’unico vero produttore di olio extravergine. Gli altri cosiddetti produttori d’olio in realtà fanno olive (gli agricoltori) o confezionano bottiglie (imbottigliatori e grandi marchi).

Perché abbiamo parlato di specifico contesto? Perché è la realtà del nostro Paese, produttiva e storica, a qualificare e definire il made in Italy, l’olio prodotto italiano.
5000 frantoi per 500 cultivar: sarebbe sufficiente questo dato per mettere fine ad inutili e pretestuose discussioni e riconoscere che la salvaguardia di questo patrimonio è nell’interesse di tutti, o almeno di tutti coloro che vogliono difendere l’olivicoltura nazionale e il diritto dei consumatori a scegliere, tra i tanti diversi oli, quello che gli piace di più.

I delegati al congresso sono stati fortunati perché non hanno dovuto ascoltare la solita nota e stupida contestazione “tutti gli oli dalle olive sono fatti in frantoio”, così come si diceva “tutte le paste sono fatte in un pastificio”.

Ci ha pensato l’Autorità per la concorrenza a fare giustizia di una simile fesseria quando ha sentenziato a proposito della pasta artigianale “…la valutazione delle diciture utilizzate nei messaggi, “pasta artigianale” e “prodotto artigianale”, dipende dall’incidenza relativa e dalla valorizzazione dell’apporto umano, eventualmente legato all’utilizzo di metodologie ed utensili tradizionali, nel sistema di produzione adottato dall’operatore. Sulla base di quanto accertato nel corso dell’istruttoria, è emerso che tutte le società parti del presente procedimento realizzano la propria produzione attraverso procedure diversificate caratterizzate, seppure in misura variabile, dalla significatività dell’apporto umano. In particolare, risulta che le fasi della lavorazione siano effettuate o manualmente o sotto il controllo diretto del personale addetto, con un apporto limitato delle procedure automatizzate, peraltro in certa misura necessarie trattandosi di produzioni in serie, data la natura del prodotto”.

In più, per quanto riguarda l’olio dalle olive, c’è la scelta, che fa il mastro oleario, delle cultivar, della loro selezione e miscelazione ed infine la scelta tra le diverse modalità di produzione per ottenere quello specifico prodotto, il suo extravergine unico e irripetibile.

L'olio artigianale vale oggi il 26% del mercato. Il dibattito ha messo in luce che il problema è quello di farlo riconoscere al consumatore sullo scaffale del supermercato. La domanda è stata girata ai rappresentanti della GDO che hanno seguito i lavori congressuali e la risposta è stata univoca, la definizione in etichetta di prodotto artigianale è un ulteriore elemento di informazione e di trasparenza verso i consumatori. E lo stesso discorso vale per il commercio online. Quindi ben venga. Ma c’è di più, e sarà bene che ne tengano conto coloro che scrivono i decreti delegati per l’attuazione del piano olivicolo, gli investimenti in promozione possono portare l’olio artigianale ad essere il 50% del consumo di olio d’oliva con tutte le positive ricadute che questo può avere sulle coltivazioni e quindi sul commercio delle olive. Ci riflettano gli agricoltori e le loro organizzazioni.

Ora tocca ai frantoiani: mettiamoci la faccia e un po' di orgoglio. Non abbiamo bisogno né di norme, né di autorizzazioni. Abbiamo già una legge (regionale) che riconosce che l’unica impresa, che può definirsi produttore di olio dalle olive, è il frantoio artigiano, una legge che attribuisce la responsabilità del prodotto al mastro oleario e ne istituisce l’albo professionale e abbiamo l’AIFO, una forza associativa in grado di difendere i nostri diritti e gli interessi delle nostre imprese.
“Siamo artigiani, produttori dell’olio artigianale” e allora dalla prossima campagna facciamo un olio secondo i parametri previsti dal consorzio di tutela che dobbiamo fondare e mettiamo sul mercato i nostri tanti e diversi oli artigianali. Poi la parola passa al consumatore.

di Giampaolo Sodano
pubblicato il 27 maggio 2016 in Pensieri e Parole > Editoriali

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oliomio-tem-1024x955Buongiorno Giorgio“, “Buongiorno Tommaso“, una stretta di mano e ci accomodiamo nel piccolo ufficio di Giorgio Mori. Gli dico io: “Mi sembra di conoscerti da venti anni e sono emozionato nell’ entrare nel tuo grande laboratorio, ho veramente tante domande da farti perché il mondo dell’olio mi appartiene da quando sono nato ed ho ancora tanta voglia di imparare.

Da quanti anni lavori nella Mori TEM?

“Sono entrato in questa azienda alla fine delle scuole superiori. L’azienda è cominciata a crescere negli anni ’80 e abbiamo continuato ad aumentare il lavoro in maniera costante fino ad oggi. La grande svolta per noi è avvenuta nel 1993, quando abbiamo progettato Oliomio il piccolo impianto oleario a ciclo continuo”.

Come è nato Oliomio e chi ha avuto l’idea di progettare l’impianto oleario a ciclo continuo?

“Quando si lavora in team è difficile individuare la proprietà intellettuale di un’idea. Ti posso solo dire che lavorando a stretto contatto con i produttori mi ero accorto che con gli impianti a pressione l’olio non veniva bene. Quindi abbiamo iniziato a lavorare su questa nuova macchina che è stata brevettata proprio in quegli anni e ci ha fatti conoscere nel mondo con il nome di Oliomio”.

Avete mai avuto il timore che questa nuova tecnologia non venisse recepita dal mercato nella giusta maniera?

“Sinceramente no, era esattamente quello che il mercato stava aspettando. Negli anni ’80/’90 c’era la mentalità del fai-da-te, soprattutto sull’olio e la domanda per i piccoli impianti a pressione era veramente molto alta, anche se era evidente che questi macchinari avessero dei problemi, soprattutto con i fiscoli.

Un giorno mi chiamò un produttore dell’Abruzzo, in lacrime, perché aveva avuto dei grossi problemi con i fiscoli e doveva buttare via 5 quintali d’olio. In tutta onestà buona parte della responsabilità era sua, comunque l’evento mi colpì molto e pensai che era arrivato il momento di trovare una soluzione per eliminare i fiscoli. Bisognava creare una macchina senza separatore per i piccoli produttori di olio”.

Sono sempre più curioso, ma come avviene il processo?

“Il processo è semplice. Le olive vengono pulite dalle foglie e dai rami con una macchina che si chiama DLE, che sta per: defogliazione, lavaggio, elevazione. Questo significa che le olive vengono pulite, lavate e portate sul frangitore. Qui vengono frante e la pasta che ne risulta cade nella gramola.

E’ qui che il processo cambia rispetto alle macchina a pressione, infatti la pasta di olive invece di passare alla pressa sui fiscoli, finisce in una centrifuga orizzontale che in due fasi separa il solido dal liquido: da una parte esce la sansa con l’acqua, dall’altra l’olio. Il processo è finito ed il prodotto non si riscalda minimamente e non tocca materiali potenzialmente inquinanti come i fiscoli”.

Qual è stata la risposta del mercato? E’ andata come ti aspettavi?

“No, è andata molto meglio di come mi aspettavo. I primi anni abbiamo visto quadruplicare la richiesta di impianti Oliomio. Inoltre Sandro Vannucci che all’epoca conduceva Linea Verde ci invitò a partecipare al programma tramite il CNR.

Durante la trasmissione facemmo l’olio direttamente nel campo con Oliomio, la nostra macchina a ciclo continuo. Fu un vero successo e non solo nazionale: è grazie a quella partecipazione che sono andato in Australia e ho cominciato a collaborare con i produttori australiani. La macchina era perfetta per le loro esigenze: avevano qualche quintale di olive, volevano provare a vedere come sarebbe uscito l’olio e la nostra macchina Oliomio era perfetta per le loro esigenze”.

Che capacità ha Oliomio?

Oliomio è una macchina monoblocco che può frangere un massimo di due quintali di olive all’ora. Ha una grandezza di 1 m x 2 m, alta 1,50 m. Nel mondo siamo gli unici a produrre macchine così piccole per produrre olio di alta qualità. Ovviamente negli ultimi 20 anni la tecnologia è stata migliorata e l’olio che si ottiene oggi con Oliomio è davvero un olio di grande qualità. Colore, profumi e gusto all’ennesima potenza”.

Oltre a Oliomio, la Mori TEM produce anche altri macchinari?

“Oliomio è la linea di macchine per i piccoli produttori. Oltre a queste costruiamo impianti per le grandi aziende agricole olivicole, macchinari che hanno una capacità produttiva fino ai venti quintali l’ora. Abbiamo 4 diversi prodotti che si differenziano tra di loro per il sistema di trasformazione che incide ovviamente sull’olio stesso.

Per esempio il Sintesi e il Cultivar sono due impianti dedicati alla produzione di olii ad alto contenuto fenolico. Inoltre le nostre macchine sono dotate di un software proprietario con comandi in remoto: un nostro cliente ha un impianto in Uruguay e può controllarlo comodamente da qua, oppure noi della Mori TEM possiamo settarglielo qua dai nostri laboratori.

Quello a cui io sto puntando però, non è tanto vendere le macchine, che sono solo uno strumento; ciò che mi interessa profondamente è il sistema con cui viene prodotto l’olio, il concetto di alta qualità che deve stare alla base della produzione di questo incredibile prodotto.

Ti ripeto: le macchine sono solo strumenti, da un’ oliva eccellente io non posso aggiungere qualità, ma posso solo toglierne; nell’olio le cose non funzionano come nel vino che nel passaggio in cantina qualche piccolo difetto dell’uva può essere corretto. Nel mondo oleario sono importanti la qualità della materia e il processo con cui il prodotto viene lavorato. Quando vendo un impianto di una certa entità, normalmente seguo il cliente fino a che non riesce a produrre un olio di ottima qualità; se così non facessi, mi sentirei responsabile, anche se la colpa, ovviamente, non sarebbe la mia, dato che la macchina funziona perfettamente”.

So che eri molto amico del Dott. Marco Mugelli, capo panel alla Camera di Commercio di Firenze Agronomo, olivicoltore ed elaiotecnico, una figura che ha lasciato il segno nel mondo dell’olio toscano…

Marco Mugelli oltre ad essere un grande amico, aveva delle intuizioni davvero notevoli e mi spingeva sempre alla ricerca di una qualità superiore. Da quando è prematuramente scomparso nel 2011 è stato difficile per me mantenere la stessa voglia di miglioramento e ricerca. Marco era una persona di poche parole e le nostre discussioni si focalizzavano prevalentemente sull’olio, su modifiche da fare agli impianti e cose così. Era un vulcano di idee ed è stato il mio maestro, gli devo davvero tanto“.

Chiudo così l’intervista a Giorgio Mori con il ricordo del Dott. Marco Mugelli, ripromettendomi di venire a trovarti nuovamente, magari per raccontare da vicino l’istallazione di una di queste rivoluzionari frantoi direttamente presso un’azienda olearia.

MORI-TEM Srl Via Leonardo da Vinci n. 59 – Tavarnelle Val di Pesa (FI) – Tel. 055 80.71.568 – www.tem.it

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«Mio padre Stefano ha novant'anni, fa il viticoltore da sempre e in questi giorni non fa altro che ripetere che un'annata così neanche lui l'ha mai vista». Nelle parole di Daniele Accordini, direttore della cantina sociale di Negrar, nel cuore della Valpolicella (Verona), c'è forse il senso di questa pazza estate e delle difficoltà di una vendemmia che ancora non è entrata nel vivo e in molti casi nemmeno è cominciata.

Anticiclone questo sconosciuto Il primo elemento che caratterizza quest'annata è il forte ritardo nella maturazione delle uve. Il clima mite e l'abbondanza di piogge infatti hanno ribaltato una situazione che negli ultimi anni sembrava diventata strutturale. Il gran caldo diffuso lungo tutti i mesi estivi nelle recenti annate (due anni fa si contarono in estate ben 7 anticicloni dai di Giorgio dell'Orefice - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/fPb5dN

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114978_420x270Momento davvero critico per il settore ortofrutticolo, penalizzato da un andamento climatico decisamente avverso ai consumi e ora anche dall’embargo Russo.

I principali produttori europei, ovvero i Paesi del mediterraneo, avevano già chiesto e ottenuto l’intervento di Bruxelles in favore del settore attanagliato da una crisi senza precedenti. “Le misure annunciate dalla Commissione europea – ha dichiarato il ministro per le politiche agricole Maurizio Martina – interesseranno anche diverse filiere italiane: dalle mele alle pere, dall'uva ai Kiwi, ai pomodori. Si tratta ora di capire bene modalità e tempistiche per fornire tutte le informazioni utili alle imprese".
Ma adesso queste stesse misure non bastano più: l’embargo della Russia mette a rischio altri 70 milioni di euro di export di prodotti ortofrutticoli italiani.
Alla luce di queste emergenze acquisiscono ancora più rilevanza le recenti dichiarazioni di Martina a L’Informatore Agrario. Il ministro ha annunciato tra le prossime azioni di governo di settembre un forte impegno sul fronte dell’export agroalimentare mettendo a sistema tutte le forze del Paese impegnate in tal senso: ambasciate, camere di commercio, Ice, ecc.
Il progetto inizierà a settembre e verrà messo a punto in pochi mesi. Si tratta – ha dichiarato il ministro – di una priorità.
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114978_420x270Per pesche e nettarine il 2014 sarà ricordato per la partenza deludente, almeno per quello che riguarda la Romagna. I prezzi del mese di giugno, e fino ai primi giorni di luglio, sono stati bassi, tali da non coprire, in diversi casi, neppure i costi di produzione.

Sotto i 50 centesimi

Non è possibile fare un listino dettagliato, considerato che i prezzi variano ogni giorno anche a seconda delle varietà e dei calibri. Però si può affermare che la gran parte della frutta entrata nei magazzini in giugno, di pezzatura media, non ha superato i 30-40 cent/Kg, al di sotto quindi della fatidica soglia-pavimento dei 50 centesimi. Ci sono poi eccezioni, specie per le partite di calibro maggiore, ma nella maggior parte dei casi la produzione di pesche e nettarine si pone nella fascia produttiva che per tutto il mese di giugno ha faticato a imporsi.

Qualcuno ha calcolato che durante i temporali di giugno sarebbe stato meglio non coprire i frutteti con le reti antigrandine: le cifre spuntate dall’assicurazione sarebbero state superiori a quelle di mercato...

Quali sono le cause di questo inizio così deludente? Di certo va imputata la sovrapposizione con le produzioni di Meridione e Spagna, la qualità non sempre eccelsa, le temperature più primaverili che estive che non invogliano i consumi e la solita crisi economica.

Gli operatori sono sconsolati, figuriamoci gli agricoltori. La stagione era partita male con le fragole che hanno registrato una delle peggiori annate degli ultimi 10 anni, in fatto di prezzi.

Per le albicocche l’inizio è stato altalenante e, anche se non brillantissimo, non malaccio. Stessa cosa per le ciliegie che hanno registrato prezzi alti in caso di pezzature elevate. Mentre pesche e nettarine sono, ancora una volta, in affanno. Di albicocche parla Raffaele Drei, presidente di Agrintesa. «Chi ha salvato la produzione dalla grandine – spiega il presidente – può ritenersi soddisfatto. I prezzi non sono stati negativi, specie per le partite di maggior calibro e delle varietà più colorate. Ma le condizioni meteo hanno influito su tutta la prima parte della stagione e in Romagna la grandine ha colpito pesante».

«Tante concause stanno determinando una situazione pesantissima – è il commento dell’esportatore Patrizio Neri –. Nei giorni scorsi si è svolto il Tor, il tavolo di confronto ortofrutticolo romagnolo, e tutti abbiamo confermato che c’è una produzione alta in tutta Europa. In più, quest’anno, ci sono ampie esportazioni da parte della Grecia che ha dirottato sull’Europa del nord quello che di solito mandava in Russia ma che, a causa della svalutazione del rublo, non riesce più a collocare».

Alimenti metereopatici

«Siamo partiti con il piede sbagliato – dice Maurizio Filippi, già presidente degli esportatori – specie per fragole, pesche e nettarine. In questi giorni le pesche sono scese anche sotto ai 40 cen/kg. Le pezzature non sono eccelse, la qualità in taluni casi è media, ma soprattutto il mercato non ‘tira’. E c’è un motivo ben preciso: è mancata l’estate. La frutta si consuma con il caldo. Le alte temperature fanno allontanare dai cibi grassi e pesanti e a volte si preferisce, specie sotto all’ombrellone, pasteggiare con una bella pesca e due albicocche. Ma quest’anno in giugno, di caldo non se ne è visto».

Con le basse temperature di giugno che sono state comuni non solo alla Romagna ma a mezza Europa, la frutta non va. Ormai pesche e nettarine, e altre tipologie, possono essere definiti ‘alimenti meteoropatici’, vale a dire dipendenti dalle condizioni climatiche. È per questo che gli operatori sperano in una ripresa da metà luglio in poi.

Tutto sul precoce

«Una produzione in aumento stimata attorno al 10% si sta scaricando tutta sul periodo precoce. La speranza è che da metà luglio in poi i prezzi di pesche e nettarine continuino a salire». Così si esprime Ilenio Bastoni, direttore commerciale di Apofruit, circa l’attuale situazione del mercato che è alquanto pesante.

«C’è un aspetto molto ovvio – continua Bastoni – che viene trascurato. I consumi di frutta di giugno sono stati molto bassi perché, al di là della crisi, non è ‘andata’ la stagione. Le temperature sono state basse, il caldo è mancato, la pioggia l’ha fatta da padrona in molte zone d’Europa, non solo in Italia. E con il freddo la frutta non va. L’andamento climatico ha penalizzato anche la conservabilità creando qualche problema nella commercializzazione».


Fonte: http://www.agricoltura24.com/drupacee-giu-prezzi-e-consumi/0,1254,54_ART_8545,00.html

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