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20170629_135945Sono Antonio De Masi, uno dei due professionisti che offrono servizi nel settore agricolo all'interno di questo stesso sito. Qualche settimana fa ho scritto un articolo di presentazione della mia azienda vitivinicola "Il Dilucolo" e dei miei vini:

  • IGT COSTA TOSCANA VERMENTINO
  • IGT COSTA TOSCANA ROSSO

Per chi interessato a conoscerli può contattarmi attraverso la pagina contatti di questo sito, oppure attraverso la pagina facebook Il Dilucolo, oppure attraverso l'indirizzo e-mail demasivino@gmail.it ; altrimenti può acquistarli direttamente attraverso il sito www.agricoltorebio.it e conoscere la mia azienda e i miei vini da vicino cliccando qui .

Antonio De Masi

 

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20170629_135945Ho il piacere di presentarvi, all'interno del mio sito professionale, la mia piccola azienda vitivinicola. Si trova in Toscana e più precisamente a Cecina (Livorno) a 4 km dal mare.

Il vigneto di un ettaro ha una giacitura in parte pianeggiante e in parte leggermente declive. I vitigni a bacca rossa coltivati sono Merlot, Sangiovese, Syrah; mentre il Vermentino è l'unico vitigno a bacca bianca. Seguo direttamente le operazioni colturali; solo i trattamenti fitosanitari , concimazioni e le lavorazioni del terreno vengono effettuate da un amico in forma conto-terzista.

L'azienda non possiede la certificazione di agricoltura biologica, ma il principio su cui si fonda il mio lavoro e quindi la conduzione del vigneto è comunque quello del rispetto dell'ambiente, della pianta e della sua fisiologia. Gli interventi fitosanitari sono ridotti al minimo; ogni mia scelta infatti, dalla potatura invernale alla concimazione e dalla gestione della parete fogliare a quella delle uve, ha l'intento di "rafforzare" la pianta: una pianta in salute e ben gestita è sicuramente meno soggetta ad attacchi da parte di insetti e funghi.

Il 2016 è l'anno della prima raccolta per l'azienda "Il Dilucolo". I vini in bottiglia prodotti:

- IGT COSTA TOSCANA VERMENTINO 2016

facondia etichetta

 

 

 

 

 

 

 

- IGT COSTA TOSCANA ROSSO 2016

Polìzelo etichetta

 

 

 

 

 

 

 

Il nomi dell'azienda e dei vini sono nati per gioco, insieme al mio caro amico Marco Arzilli il quale mi ha dato l'idea di ricercarli tra le parole desuete della nostra lingua italiana. Da questa idea è iniziata quindi la ricerca, attraverso internet e alcuni libri, di questi nomi: così quando ho trovato che "Il Dilucolo" indica il primo albeggiare ho pensato subito che questo poteva essere il nome della mia azienda.......spesso, infatti, lavorando nelle primissime ore del mattino nella vigna mi sono trovato ad ammirare l'alba che sembra nascere proprio da questa collina.

"Facòndia" - facilità di parola, scioltezza ed eleganza di espressione - ho pensato potesse richiamare appunto i profumi e l’eleganza di questo Vermentino, insieme alla componente alcolica che come sappiamo può “facilitare la comunicazione”.

"Polìzelo" - atteso con ansia e trepidazione - rende bene l'idea della curiosità con cui ho atteso, appunto, questo vino.....frutto di un’attenta selezione delle uve rosse Merlot e Sangiovese prodotte e per la cura della vinificazione.

20170701_000532

Vi invito quindi con grande piacere a seguire questa azienda, anche attraverso la pagina facebook "Il Dilucolo"

 

ANTONIO DE MASI

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DSC_0397Addio diritti, benvenute autorizzazioni d’impianto? Le premesse non sono positive. È infatti ancora in fase di definizione il decreto con le disposizioni attuative. L’entrata in vigore del nuovo sistema è fissata per il 1° gennaio: molte scelte sono già definite, anche se in sede di Conferenza Stato-Regioni non si è giunti all’accordo. In mancanza di tale intesa, si segue la procedura di approvazione in Consiglio dei Ministri.

 Condannati al nanismo?

La bozza di decreto conferma l’assegnazione, per il 2016, delle autorizzazioni tramite sistema pro-rata, senza criteri di priorità, per una superficie massima di 6.450 ettari a livello nazionale pari a una crescita annua dell’1% (al lordo degli abbandoni) della superficie vitata italiana. Con una distribuzione che garantisce ad ogni Regione la stessa percentuale di crescita. «La gestione a livello territoriale è in fase di definizione – afferma il presidente del Consorzio del Barbera d’Asti e Monferrato Filippo Mobrici –. È una partita da giocare con attenzione, poiché si tratta di definire un piano triennale che riguarda ogni denominazione. Teniamo conto che la superficie media aziendale è soltanto di 2 ettari. Soffriamo di nanismo e questo nuovo sistema rischia di impedire la crescita».

Diversa l’opinione dell’Unione Agricoltori di Siena. «Credo – dice il presidente Giuseppe Bicocchi – che il nostro vigneto ne uscirà se non rafforzato, sicuramente indenne. Il sistema infatti comprende elementi che, se ben sfruttati, possano permettere al comparto di migliorarsi e anche di crescere». Sul piano regionale fondamentali risultano quindi gli accordi tra istituzioni, Regioni e Consorzi di tutela, nella valorizzazione del patrimonio viticolo territoriale.

Rendite stellari

Intanto, riguardo ai diritti di reimpianto detenuti dai produttori, il mercato è ancora aperto fino a fine anno e la compravendita in quest’ultimo periodo ha generato oscillazioni evidenti. In Friuli diritti da 7-8.000 euro vengono comprati oggi anche a 13-14.000 euro.

Attualmente a livello italiano ci sono infatti ancora diritti non utilizzati per circa 45.000 ettari, che potranno essere trasferiti entro il 31 dicembre oppure essere utilizzati dal titolare fino alla scadenza di validità dei diritti. Dopo il 1° gennaio 2016 potranno essere convertiti in autorizzazioni e usati dal detentore, ma non trasferiti.

«Questo è un limite – afferma Gianni Porcelli, vicedirettore di Confagricoltura Bari –. La non trasferibilità dell’autorizzazione neanche ai familiari è troppo restrittiva. Per quanto riguarda la Puglia, invece, la fine del sistema attuale è positiva perché attualmente moltissimi diritti vengono trasferiti ad altre regioni, soprattutto Veneto e Piemonte, impoverendo il patrimonio viticolo pugliese».

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trattore-trattori-macchine-agricole-vigneto-generico-by-ewald-froch-fotolia-750Venerdì scorso il Consiglio dei ministri ha approvato, dando così attuazione alla disciplina europea, il nuovo decreto relativo al nuovo sistema di autorizzazioni per impianti viticoli, che partirà dal 1° gennaio 2016 e sarà in vigore fino al 31 dicembre 2030.

Lo strumento, che sostituisce il regime di limitazione agli impianti viticoli gestito attraverso il sistema dei “diritti di impianto e reimpianto”, permetterà il rilascio di autorizzazioni per l’impianto di nuovi vigneti, per i reimpianti e per convertire e utilizzare i vecchi diritti di reimpianto in possesso dei produttori. Il limite massimo annuo di crescita delle superficie vitata nazionale sarà dell’1%.

Al termine del primo anno di applicazione sarà poi effettuata una verifica approfondita al fine di valutare i risultati e apportare, nel caso, modifiche ed integrazioni al fine di migliorare l’efficienza del sistema.

Domenico Zonin, presidente di Unione italiana vini, saluta positivamente l'approvazione del decreto in Cdm.

Ringrazio il ministro Martina per aver sbloccato la situazione riguardo un decreto il cui contenuto riprende le indicazioni di Uiv riguardo l’implementazione nazionale del sistema a partire dal 2016. Attenzione però, al plafond dell’1% di nuove autorizzazioni, ovvero circa 6400 ettari all’anno di nuovi vigneti: potrebbe risultare insufficiente, poiché il nostro Paese ha perso mediamente nell’ultimo decennio 8-9mila ha di vigneto all’anno”.

"Fino al 2020 si dovrà monitorare la conversione dei diritti di reimpianto, in tutto circa 50mila ettari – continua Zonin – per vitare di perdere ulteriore potenziale viticolo. Se il sistema presenterà disfunzionalità dopo i primi due anni di attuazione, non attenderemo il 2023, quando, da Regolamento, la Commissione dovrà fare la prima valutazione, ma chiederemo alla DG Agri di rivedere il sistema in occasione della mid term review della Pac, prevista per il 2017".

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Intrieri-Foto-2-600x397Vengono illustrati, in sintesi, i risultati di due esperienze condotte sul vitigno Sangiovese: la prima è relativa agli effetti della defogliazione meccanica basale dei germogli in fase di pre-fioritura; la seconda si riferisce agli effetti della defogliazione meccanica apicale dei germogli in fase di inizio invaiatura.

Le motivazioni per il primo gruppo di indagini sono legate al fatto che il Sangiovese è un vitigno caratterizzato da una fertilità molto alta delle gemme basali e presenta grappoli molto grandi e compatti, facilmente soggetti ad infezioni botritiche. Per queste caratteristiche, i bassi limiti produttivi richiesti dalle norme che regolano le denominazioni di origine (DOC e DOCG) per i vigneti di Sangiovese delle migliori aree della Toscana (8-10 t/ha di uva), possono essere mantenuti solo attraverso un forte diradamento manuale dei grappoli, effettuato all’epoca dell’invaiatura. Questo intervento è comunque molto costoso (30-40 ore uomo/ha/anno) e, generalmente, comporta un aumento della compattezza dei grappoli residui, che pertanto risultano più sensibili agli attacchi botritici.

Le basi fisiologiche della defogliazione basale dei germogli in pre-fioritura sono legate al fatto che in tale fase le foglie adiacenti ai grappoli rappresentano la fonte principale dei nutrienti che sono necessari ai bottoni fiorali per completare il processo di allegagione. L’eliminazione meccanica, totale o parziale, di tali foglie è facile e di costo ridotto (3-4 ore di lavoro/ha), ed è stato sperimentalmente accertato che tale pratica determina una forte riduzione dell’allegagione e della produzione, senza bisogno di ulteriori e costosi interventi di diradamento manuale. I grappoli che si formano sono anche più spargoli, meno soggetti ad attacchi botritici e quasi sempre di qualità migliore (più colore, completa maturazione fenolica).

Il secondo gruppo di ricerche (defogliazione meccanica apicale dei germogli in fase di invaiatura) è motivato dal fatto che i cambiamenti climatici verificatisi negli ultimi dieci anni e l’incremento delle temperature estive hanno fatto sì che in molte aree della Toscana le sommatorie termiche registrate dal mese di aprile al mese di ottobre (espresse in gradi giorno attivi = “degree days”) siano aumentate da circa 1800°C fino a un massimo che in taluni casi ha raggiunto i 2200°C.  Come risultato, l’epoca di vendemmia del Sangiovese, che in passato era di norma verso la fine di ottobre, oggi deve essere spesso anticipata anche di 2-3 settimane per evitare che la gradazione zuccherina sia troppo elevata e che sia troppo bassa l’acidità del mosto. Nonostante l’anticipo della vendemmia, può comunque capitare che il grado alcolico potenziale sia già troppo elevato (attorno ai 14° alcool) e che non si sia ancora completo il corredo aromatico dell’uva e la maturazione fenolica.

Il presupposto fisiologico della utilità della defogliazione apicale all’invaiatura risiede nell’accertata conoscenza che nel periodo estivo la capacità assimilativa che determina l’accumulo zuccherino negli acini è essenzialmente dovuta alle foglie più giovani che si trovano nella zona centrale ed apicale dei germogli. L’eliminazione  di una quota del 30-40% di queste foglie riduce la produzione totale dei carboidrati, rallenta la loro accumulazione all’interno delle bacche e, di fatto, rallenta e normalizza tutto il processo di maturazione.

Le indagini hanno messo in evidenza che per essere efficace la defogliazione apicale deve essere effettuata nella zona al di sopra dei grappoli (per evitare scottature), eliminando una quota del 30% circa di foglie. L’epoca ottimale per l’intervento è all’inizio della invaiatura, quando non più del 50% degli acini è invaiato e il grado zuccherino del succo non ha ancora superato i 14-15 °Brix.

Le prove hanno dimostrato che utilizzando questa tecnica in modo corretto l’accumulo zuccherino viene rallentato e la raccolta può essere convenientemente ritardata, con effetti positivi per il mantenimento di una buona acidità del succo e per il completamento della sintesi aromatica e della maturazione fenolica delle uve.

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117850_420x270Per partire con il piede giusto nel vigneto occorre guardare... sotto i piedi. I sessanta centimetri a cavallo del piano di coltivazione sono forse la parte più importante – e per certi versi più trascurata – per la qualità dell’uva da vino. È qui infatti che si concentra la maggior parte della biodiversità del vigneto, ed è qui che si compiono i cicli degli elementi nutritivi e gli organismi terricoli svolgono la loro funzione di tutela della fertilità. 

«La conservazione – spiega Attilio Scienza – e l’aumento di questa biodiversità “nascosta” si può tradurre in un vantaggio per l’azienda sia dal punto di vista agronomico che economico ». Tanto da spingere Magis a dedicare una forte attenzione a questo parametro della sostenibilità. “Magis per la tutela della biodiversità” è il progetto presentato nell’ambito della rassegna Wine2wine lo scorso 4 dicembre a Verona. Scienza, che è presidente del Comitato tecnico scientifico di Magis, ha illustrato una sperimentazione condotta nel 2014 in 17 aziende aderenti al protocollo che ha permesso di sviluppare una tecnica di facile applicazione per valutare: 
- numerosità e tipologia di lombrichi tramite la distribuzione di una soluzione di senape che ne stimola la fuoriuscita dal suolo; 
- presenza di organismi nel suolo posizionando assi di legno in posizioni specifiche; 
- tipologia di colonie di insetti pronubi posizionando trappole nei vigneti; 
- farfalle tramite osservazioni visive; 
- specie vegetali presenti negli inerbimenti; 
- caratteristiche del suolo e delle piante. 

I primi risultati mostrano come nei vigneti con le migliori condizioni di struttura il numero medio di lombrichi e insetti sia molto superiore rispetto alle zone con problemi di compattamento del suolo. Ciò è inversamente correlato al numero dei passaggi delle macchine operatrici nei vigneti a parità di incidenza dei principi attivi utilizzati. Indicazioni che consentiranno di mettere a punto gli strumenti per il miglioramento della biodiversità del vigneto che entreranno a fare parte integrante del protocollo di certificazione. «Sostenibilità e basso impatto ambientale – ha ribadito Scienza – rischiano di diventare parole vuote se non vengono riempite di concretezza, con ricadute sensibili sul lavoro delle cantine, con indici comunicabili al pubblico e valorizzabili sui mercati».

 «Crediamo – ha ribadito Gian Luca Mascellino di Bayer CropScience, partner capofila di Magis – nel miglioramento continuo del protocollo e abbiamo visto in questo studio una concreta opportunità per le aziende che perseguono la sostenibilità “nei fatti”». L’approccio scientifico che mira alla misura dell’effetto delle pratiche utilizzate è il punto di forza che differenzia Magis da altre esperienze di produzione sostenibile. Una carta importante per un prodotto con una forte componente “d’immagine” come il vino.

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DSC_1094Suggeriamo la lettura di questo articolo pubblicato dall'Informatore Agrario gestionedelsuoloviticolo .

A questo proposito ricordiamo che questo è il periodo per seminare le specie da utilizzare per l'inerbimento. Chiunque abbia bisogno di consigli e consulenza a riguardo può contattarci cliccando qui.

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DSC_1004Colpa della peronospora, e anche dell’oidio. Dopo 30 anni di scetticismo e ostilità l’Italia autorizza la coltivazione dei primi vitigni resistenti selezionati negli anni ’80 in Germania presso l’Istituto per la viticoltura di Friburgo (Tab.1). L’iscrizione nel Registro nazionale è avvenuta nel luglio dell’anno scorso. L’autorizzazione alla coltivazione in Veneto e Lombardia (che si aggiungono così al Trentino Alto Adige) è di questa estate. Il clima umido e piovoso di quest’anno e i pesanti attacchi delle crittogame spingono però a fare di più. Le varietà tedesche sono infatti caratterizzate da resistenze per lo più monogeniche e soprattutto hanno un ciclo breve e una maturazione precoce. Non sono adatte per tutte le Regioni italiane. La soluzione è dietro l’angolo. Il nostro Paese ha il primato della prima decodifica del genoma della vite e l’attività di ricerca negli istituti che si sono sfidati per raggiungere questo importante risultato nel 2008 non si è esaurita.

L’effetto additivo dei geni

«L’attività di miglioramento genetico della vite – spiega Riccardo Velasco del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Mach (San Michele all’Adige -Tn)- punta alla combinazione di diversi genotipi con resistenze di differente origine». È la cosiddetta pirimidazione: partendo da varietà di provenienza americana (come Muscadinia rotundifolia) o asiatica (Vitis amuriensis) e reincrociandole con varietà di Vitis vinifera si punta a “diluire” progressivamente il contributo del donatore esogeno (che può portare deviazioni organolettiche non gradite), ma soprattutto a concentrare più geni di resistenza in un solo genotipo élite. Fin dall’avvio di questa attività è stata infatti chiara l’esistenza di diversi livelli di resistenza (l’immunità non esiste). Sia la peronospora che l’oidio sono sensibili all’effetto additivo di geni diversi di resistenza. In Nord Europa per arrivare alle prime varietà ci sono voluti decenni di incroci e selezioni presso i centri di ricerca di Friburgo in Germania e Pecs in Ungheria. La selezione assistita con marker molecolari consente oggi di velocizzare il processo di selezione (e la verifica della presenza di più geni di resistenza) e qui entrano in gioco gli Istituti di ricerca italiani. Presso la Fondazione Mach negli ultimi 4 anni sono stati effettuati 73 incroci, che hanno dato origine a 2500 semenzali in tunnel. Per vedere in anteprima le varietà del futuro Miva (i moltiplicatori viticoli italiani) ha organizzato a San Michele all’Adige un convegno in occasione del recente Congresso nazionale. In questa circostanza Velasco ha spiegato che dalle 32mila piantine sottoposte a screening dal 2009 sono stati selezionati 200 genotipi con diversi gradi di resistenza, 98 genotipi con resistente piramidate e 223 con nuove resistenze. L’obiettivo è quello di ottenere entro pochi anni nuove varietà con almeno due geni di resistenza per oidio e due per peronospora. E oltre al carattere resistenza si punta anche a differenziare l‘epoca di maturazione e a migliorare il contenuto in terpeni, ma anche sull’apirenia dell’uva da tavola. 

Iga vicino al traguardo

Dopo anni di forzata inattività (i vitigni coltivati sono almeno bicentenari) è così ripartita l’attività italiana di miglioramento genetico della vite. E sembra ancora più vicina a raccogliere i frutti l’attività di ricerca approntata da Iga, Istituto di genomica applicata dell’Università di Udine. È attesa infatti a giorni (entro fine 2014) l’iscrizione nel Registro nazionale delle prime dieci varietà resistenti a perono- »»» spora e oidio (v. Tab.2) ottenute dal team di ricercatori friulani in collaborazione con l’Università di Udine e i Vivai cooperativi Rauscedo. Si tratterebbe del traguardo di un’attività di ricerca partita 15 anni fa che attraverso un programma di incroci progressivi di varietà di Vitis vinifera nazionali e internazionali con varietà resistenti come Bianca, Regent o “20-3” ha puntato all’introgressione di resistenze robuste e durature in nuovi vitigni caratterizzati da un ottimo profilo organolettico.

L’avversione agli ibridi

Un’iscrizione attesa (la domanda è stata presentata a fine 2013) che consentirebbe di superare per la prima volta uno scoglio normativo. La storica avversione italiana per gli ibridi produttori diretti (i fragolino e i clinto una volta tanto diffusi) ha determinato infatti il vincolo di dover iscrivere nel Registro varietale nazionale solo le categorie Vitis vinifera e “ibridi interspecifici”, di cui solo le prime sono ammesse a coltivazione per la produzione di uva da vino. In Germania prevale invece il criterio ampelografico (se i tratti predominanti sono quelli della vite europea, allora si può si può registrare come vinifera e quindi coltivare). Nel caso delle varietà friulane, il fatto che le linee di introgressione selezionate contengano una porzione nettamente preponderante di genoma di Vitis vinifera rispetto agli ibridi interspecifici conosciuti finora e il precedente dell’iscrizione delle varietà di Friburgo dovrebbero far propendere verso l’autorizzazione alla coltivazione. Anche perché l’Unione europea, nell’ultima riforma della piramide qualitativa del vino, ha introdotto una categoria che calzerebbe a pennello ai vini ottenuti con queste nuove varietà: quella dei vini varietali, appunto, che in Italia ancora stentano a decollare.

Il “sangue” nostrano

Occorre però superare alcune criticità. «La tipicità – sostiene Mauro Catena di Cantine Riunite – è il tratto caratteristico della nostra produzione, quello che ci fa vincere la sfida rispetto a i produttori del nuovo mondo. Sarebbe stato forse meglio se invece dell’introgressione del “sangue” americano o asiatico si fosse proceduto allo screening delle resistenze presenti nelle nostre popolazioni. Varietà come il Lambrusco dovrebbero contenerne ». «Negli Usa – afferma Enrico Zanoni di Cavit -, nostro principale mercato di riferimento, è soprattutto la varietà ad orientare le scelte dei consumatori. Non so se c’è spazio per nuove iscrizioni e la carta della sostenibilità è in questo caso difficile da spiegare». 

«Veniamo da un’annata – ribatte Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative –in cui gli agricoltori hanno dovuto farsi carico di costi notevoli, sia in termini di denaro che di tempo, per fare fronte ai problemi causati da peronospora e oidio. Qualsiasi soluzione che consenta di abbassare il numero dei trattamenti contribuisce alla sostenibilità economica delle aziende. E rafforza il rapporto di fiducia con i consumatori».

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