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20170629_135945Sono Antonio De Masi, uno dei due professionisti che offrono servizi nel settore agricolo all'interno di questo stesso sito. Qualche settimana fa ho scritto un articolo di presentazione della mia azienda vitivinicola "Il Dilucolo" e dei miei vini:

  • IGT COSTA TOSCANA VERMENTINO
  • IGT COSTA TOSCANA ROSSO

Per chi interessato a conoscerli può contattarmi attraverso la pagina contatti di questo sito, oppure attraverso la pagina facebook Il Dilucolo, oppure attraverso l'indirizzo e-mail demasivino@gmail.it ; altrimenti può acquistarli direttamente attraverso il sito www.agricoltorebio.it e conoscere la mia azienda e i miei vini da vicino cliccando qui .

Antonio De Masi

 

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20170629_135945Ho il piacere di presentarvi, all'interno del mio sito professionale, la mia piccola azienda vitivinicola. Si trova in Toscana e più precisamente a Cecina (Livorno) a 4 km dal mare.

Il vigneto di un ettaro ha una giacitura in parte pianeggiante e in parte leggermente declive. I vitigni a bacca rossa coltivati sono Merlot, Sangiovese, Syrah; mentre il Vermentino è l'unico vitigno a bacca bianca. Seguo direttamente le operazioni colturali; solo i trattamenti fitosanitari , concimazioni e le lavorazioni del terreno vengono effettuate da un amico in forma conto-terzista.

L'azienda non possiede la certificazione di agricoltura biologica, ma il principio su cui si fonda il mio lavoro e quindi la conduzione del vigneto è comunque quello del rispetto dell'ambiente, della pianta e della sua fisiologia. Gli interventi fitosanitari sono ridotti al minimo; ogni mia scelta infatti, dalla potatura invernale alla concimazione e dalla gestione della parete fogliare a quella delle uve, ha l'intento di "rafforzare" la pianta: una pianta in salute e ben gestita è sicuramente meno soggetta ad attacchi da parte di insetti e funghi.

Il 2016 è l'anno della prima raccolta per l'azienda "Il Dilucolo". I vini in bottiglia prodotti:

- IGT COSTA TOSCANA VERMENTINO 2016

facondia etichetta

 

 

 

 

 

 

 

- IGT COSTA TOSCANA ROSSO 2016

Polìzelo etichetta

 

 

 

 

 

 

 

Il nomi dell'azienda e dei vini sono nati per gioco, insieme al mio caro amico Marco Arzilli il quale mi ha dato l'idea di ricercarli tra le parole desuete della nostra lingua italiana. Da questa idea è iniziata quindi la ricerca, attraverso internet e alcuni libri, di questi nomi: così quando ho trovato che "Il Dilucolo" indica il primo albeggiare ho pensato subito che questo poteva essere il nome della mia azienda.......spesso, infatti, lavorando nelle primissime ore del mattino nella vigna mi sono trovato ad ammirare l'alba che sembra nascere proprio da questa collina.

"Facòndia" - facilità di parola, scioltezza ed eleganza di espressione - ho pensato potesse richiamare appunto i profumi e l’eleganza di questo Vermentino, insieme alla componente alcolica che come sappiamo può “facilitare la comunicazione”.

"Polìzelo" - atteso con ansia e trepidazione - rende bene l'idea della curiosità con cui ho atteso, appunto, questo vino.....frutto di un’attenta selezione delle uve rosse Merlot e Sangiovese prodotte e per la cura della vinificazione.

20170701_000532

Vi invito quindi con grande piacere a seguire questa azienda, anche attraverso la pagina facebook "Il Dilucolo"

 

ANTONIO DE MASI

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DSC_0397Addio diritti, benvenute autorizzazioni d’impianto? Le premesse non sono positive. È infatti ancora in fase di definizione il decreto con le disposizioni attuative. L’entrata in vigore del nuovo sistema è fissata per il 1° gennaio: molte scelte sono già definite, anche se in sede di Conferenza Stato-Regioni non si è giunti all’accordo. In mancanza di tale intesa, si segue la procedura di approvazione in Consiglio dei Ministri.

 Condannati al nanismo?

La bozza di decreto conferma l’assegnazione, per il 2016, delle autorizzazioni tramite sistema pro-rata, senza criteri di priorità, per una superficie massima di 6.450 ettari a livello nazionale pari a una crescita annua dell’1% (al lordo degli abbandoni) della superficie vitata italiana. Con una distribuzione che garantisce ad ogni Regione la stessa percentuale di crescita. «La gestione a livello territoriale è in fase di definizione – afferma il presidente del Consorzio del Barbera d’Asti e Monferrato Filippo Mobrici –. È una partita da giocare con attenzione, poiché si tratta di definire un piano triennale che riguarda ogni denominazione. Teniamo conto che la superficie media aziendale è soltanto di 2 ettari. Soffriamo di nanismo e questo nuovo sistema rischia di impedire la crescita».

Diversa l’opinione dell’Unione Agricoltori di Siena. «Credo – dice il presidente Giuseppe Bicocchi – che il nostro vigneto ne uscirà se non rafforzato, sicuramente indenne. Il sistema infatti comprende elementi che, se ben sfruttati, possano permettere al comparto di migliorarsi e anche di crescere». Sul piano regionale fondamentali risultano quindi gli accordi tra istituzioni, Regioni e Consorzi di tutela, nella valorizzazione del patrimonio viticolo territoriale.

Rendite stellari

Intanto, riguardo ai diritti di reimpianto detenuti dai produttori, il mercato è ancora aperto fino a fine anno e la compravendita in quest’ultimo periodo ha generato oscillazioni evidenti. In Friuli diritti da 7-8.000 euro vengono comprati oggi anche a 13-14.000 euro.

Attualmente a livello italiano ci sono infatti ancora diritti non utilizzati per circa 45.000 ettari, che potranno essere trasferiti entro il 31 dicembre oppure essere utilizzati dal titolare fino alla scadenza di validità dei diritti. Dopo il 1° gennaio 2016 potranno essere convertiti in autorizzazioni e usati dal detentore, ma non trasferiti.

«Questo è un limite – afferma Gianni Porcelli, vicedirettore di Confagricoltura Bari –. La non trasferibilità dell’autorizzazione neanche ai familiari è troppo restrittiva. Per quanto riguarda la Puglia, invece, la fine del sistema attuale è positiva perché attualmente moltissimi diritti vengono trasferiti ad altre regioni, soprattutto Veneto e Piemonte, impoverendo il patrimonio viticolo pugliese».

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Intrieri-Foto-2-600x397Vengono illustrati, in sintesi, i risultati di due esperienze condotte sul vitigno Sangiovese: la prima è relativa agli effetti della defogliazione meccanica basale dei germogli in fase di pre-fioritura; la seconda si riferisce agli effetti della defogliazione meccanica apicale dei germogli in fase di inizio invaiatura.

Le motivazioni per il primo gruppo di indagini sono legate al fatto che il Sangiovese è un vitigno caratterizzato da una fertilità molto alta delle gemme basali e presenta grappoli molto grandi e compatti, facilmente soggetti ad infezioni botritiche. Per queste caratteristiche, i bassi limiti produttivi richiesti dalle norme che regolano le denominazioni di origine (DOC e DOCG) per i vigneti di Sangiovese delle migliori aree della Toscana (8-10 t/ha di uva), possono essere mantenuti solo attraverso un forte diradamento manuale dei grappoli, effettuato all’epoca dell’invaiatura. Questo intervento è comunque molto costoso (30-40 ore uomo/ha/anno) e, generalmente, comporta un aumento della compattezza dei grappoli residui, che pertanto risultano più sensibili agli attacchi botritici.

Le basi fisiologiche della defogliazione basale dei germogli in pre-fioritura sono legate al fatto che in tale fase le foglie adiacenti ai grappoli rappresentano la fonte principale dei nutrienti che sono necessari ai bottoni fiorali per completare il processo di allegagione. L’eliminazione meccanica, totale o parziale, di tali foglie è facile e di costo ridotto (3-4 ore di lavoro/ha), ed è stato sperimentalmente accertato che tale pratica determina una forte riduzione dell’allegagione e della produzione, senza bisogno di ulteriori e costosi interventi di diradamento manuale. I grappoli che si formano sono anche più spargoli, meno soggetti ad attacchi botritici e quasi sempre di qualità migliore (più colore, completa maturazione fenolica).

Il secondo gruppo di ricerche (defogliazione meccanica apicale dei germogli in fase di invaiatura) è motivato dal fatto che i cambiamenti climatici verificatisi negli ultimi dieci anni e l’incremento delle temperature estive hanno fatto sì che in molte aree della Toscana le sommatorie termiche registrate dal mese di aprile al mese di ottobre (espresse in gradi giorno attivi = “degree days”) siano aumentate da circa 1800°C fino a un massimo che in taluni casi ha raggiunto i 2200°C.  Come risultato, l’epoca di vendemmia del Sangiovese, che in passato era di norma verso la fine di ottobre, oggi deve essere spesso anticipata anche di 2-3 settimane per evitare che la gradazione zuccherina sia troppo elevata e che sia troppo bassa l’acidità del mosto. Nonostante l’anticipo della vendemmia, può comunque capitare che il grado alcolico potenziale sia già troppo elevato (attorno ai 14° alcool) e che non si sia ancora completo il corredo aromatico dell’uva e la maturazione fenolica.

Il presupposto fisiologico della utilità della defogliazione apicale all’invaiatura risiede nell’accertata conoscenza che nel periodo estivo la capacità assimilativa che determina l’accumulo zuccherino negli acini è essenzialmente dovuta alle foglie più giovani che si trovano nella zona centrale ed apicale dei germogli. L’eliminazione  di una quota del 30-40% di queste foglie riduce la produzione totale dei carboidrati, rallenta la loro accumulazione all’interno delle bacche e, di fatto, rallenta e normalizza tutto il processo di maturazione.

Le indagini hanno messo in evidenza che per essere efficace la defogliazione apicale deve essere effettuata nella zona al di sopra dei grappoli (per evitare scottature), eliminando una quota del 30% circa di foglie. L’epoca ottimale per l’intervento è all’inizio della invaiatura, quando non più del 50% degli acini è invaiato e il grado zuccherino del succo non ha ancora superato i 14-15 °Brix.

Le prove hanno dimostrato che utilizzando questa tecnica in modo corretto l’accumulo zuccherino viene rallentato e la raccolta può essere convenientemente ritardata, con effetti positivi per il mantenimento di una buona acidità del succo e per il completamento della sintesi aromatica e della maturazione fenolica delle uve.

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japonica6-kefB-U43070822414442kKC-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443Piccolo, ma pericolosissimo per l’ambiente. E anche per il portafoglio. La Popillia japonica, scarabeo asiatico in grado di attaccare fino a trecento specie vegetali, è ormai arrivato anche in Italia. Dall’estate scorsa si susseguono gli avvistamenti nel Parco del Ticino e in altre zone tra Lombardia e Piemonte, segnalazioni che hanno spinto gli enti regionali a intervenire.

  • Lo scarabeo giapponese è la nuova minaccia
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Gravi danni

L’insetto è giunto in Europa continentale da poco tempo, prima era stato individuato solo nelle Azzorre, ma già preoccupa in quanto è in grado di causare ingenti danni. Negli Stati Uniti, dove è comparso per la prima volta all’inizio del Novecento, «venivano stimati già nel 2004 costi di circa 450 milioni di dollari per la lotta all’insetto e per i danni arrecati», spiega un documento della Regione Piemonte pubblicato a fine febbraio. «Per i gravi danni che può arrecare è inserito tra gli organismi di quarantena (direttiva 2000/29 CE e lista A2 dell’Eppo-European and Mediterranean Plat Protection Organization) di cui deve essere vietata l’ulteriore introduzione e diffusione in altre aree europee», scrive Davide Michelatti, dirigente del settore fitosanitario della Regione Piemonte. «Gli adulti, che volano da giugno a settembre, sono polifagi e negli Stati Uniti si alimentano su oltre 300 specie vegetali tra cui sono comprese piante spontanee, ornamentali, colture di pieno campo, da frutto e forestali. Tra le specie d’interesse agrario si possono ricordare: mais, melo, pesco, soia, vite e molte altre».

Contrasto alla diffusione

Per questo gli interventi sono stati immediati e condivisi con altri enti: «Il settore fitosanitario del Piemonte, in collaborazione con l’Ente Parco del Ticino, ha subito attivato i primi interventi di monitoraggio sulla diffusione dell’insetto e di contrasto allo sviluppo della sua popolazione mediante raccolta manuale degli adulti sulla vegetazione e sistemazione di una sessantina di trappole per la cattura massale. Complessivamente sono stati raccolti circa 27.500 esemplari». Da questi dati è partita la decisione di compiere un ulteriore passo avanti: individuare le aree del focolaio e quelle tampone. In tutto sono coinvolti i territori, interi o per alcune parti, dei Comuni di Pombia, Marano Ticino, Oleggio, Bellinzago Novarese, Cameri e Galliate, Romentino, Mezzomerico, Divignano, Varallo Pombia e Novara. E questo solo per cercare di limitare subito l’espansione del piccolo ospite in grado di oltrepassare qualunque controllo doganale.

Difficile l’eradicazione

Anche in America, nonostante i massicci investimenti, non è riuscita l’eradicazione dello scarabeo. E, come avverte l’agronomo dell’Università di Catania Santi Longo sul periodico dell’Accademia dei Georgofili, il pericolo è duplice perché l’insetto attacca le piante da sopra e da sotto: «Gli adulti, lunghi in media 1 centimetro, dal torace verde brillante e dalle ali color rame o bronzo, con caratteristici ciuffi di peli bianchi ai margini dell’addome, si alimentano di foglie, fiori e frutti, mentre le larve terricole rodono le radici di piante erbacee spontanee e coltivate». Non a caso è stata anche descritta come «la larva che può mangiare un prato da sotto».

Non solo Xylella

Un ulteriore allarme come ormai sta diventando normale per il mondo agricolo e non solo:le specie pericolose importate dagli altri continenti sono ormai centinaia. E ci sono anche i batteri, come la Xylella che sta uccidendo olivi e agrumi nel Sud Italia e che pare, a quanto riportato dal presidente della Coldiretti lombarda Ettore Prandini, sia arrivata anche in Brianza infestando piante di caffè ornamentali.

Lotta totale

Gli scarabei come la Popillia japonica si vedono e si riescono almeno a limitare, anche se una soluzione definitiva non c’è. Nelle normative europee l’impiego di insetticidi è visto come una soluzione temporanea: meglio introdurre un predatore naturale della specie aliena infestante. Ma si utilizzano anche altri strumenti: per contrastare una vespa particolarmente dannosa per le api, più aggressiva del calabrone verso l’uomo, in Lombardia si sta studiando anche l’utilizzo di piccoli radar per trovare e distruggere i nidi. Segno che ormai la lotta all’invasione è a tutto campo.

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VineyardLa Riforma della Pac 2015-2020 introduce rilevanti novità per il settore viticolo, in particolar modo con riferimento al Primo pilastro (pagamenti diretti e Ocm). Di fatti, la viticoltura era finora rimasta completamente esclusa dagli aiuti diretti della Pac e il sostegno al settore era affidato all’apposito Programma di sostegno contenuto nel Regolamento sull’Ocm unica.
La grande novità introdotta dalla riforma prevede l’assegnazione di pagamenti diretti anche alle superfici viticole. Vediamo quali saranno i principali cambiamenti che interesseranno il comparto viticolo a partire dal 2015.

Criteri di assegnazione
La Riforma dei pagamenti diretti prevede innanzitutto una nuova assegnazione dei diritti (o titoli) all’aiuto, che avverrà sulla base della Domanda Unica (DU) 2015. La maggiore novità che interessa in particolar modo il settore viticolo è rappresentata dal fatto che fra le superfici ammissibili – che potranno dunque essere abbinate ai titoli per ricevere i pagamenti diretti – figurano per la prima volta anche i vigneti. Ne consegue che all’atto della presentazione della DU 2015 i viticoltori specializzati (o, ad ogni modo, le aziende con superfici viticole) potranno richiedere l’assegnazione dei titoli anche sulla superficie coltivata a vigneto e, in seguito, potranno abbinare annualmente tale superficie ai diritti all’aiuto per ottenere i pagamenti diretti.
Occorre precisare che per poter beneficiare dei nuovi titoli bisognerà inoltre essere “agricoltori attivi” (tabella 1), nonché dimostrare di aver attivato almeno un diritto all’aiuto nel 2013; vista e considerata la loro particolare condizione, in deroga al regolamento, i viticoltori specializzati saranno ad ogni modo esentati dal possesso di quest’ultimo requisito.
Un’altra novità molto importante riguarda il cosiddetto “spacchettamento” dei pagamenti diretti. Il MIPAAF (Dm n.6513 del 18/12/2014) ha infatti deciso di attivare ben cinque componenti di aiuti diretti (tabella 2):
–    Il pagamento di base, destinato ai possessori dei nuovi titoli all’aiuto;
–    Il pagamento ecologico, che comporta una maggiorazione del valore dei titoli;
–    Il pagamento per i giovani agricoltori, che comporta un ulteriore aumento del 25% del valore dei titoli posseduti da imprenditori agricoli under 40 insediatisi dal 2010 in poi come capoazienda;
Il pagamento accoppiato (art. 52), svincolato dal possesso dei titoli e destinato a produzioni/comparti specifici tra i quali però non risulta quello viticolo;
Il regime semplificato per i piccoli agricoltori, che sostituisce le sopraelencate componenti sotto forma di pagamento forfettario compreso azienda tra i 500 e i 1.250 €/azienda.

Il valore dei titoli
Tutti i particolari nell’articolo a firma Stefano Celiberti pubblicato su Terra e Vita  n.11/2015

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DSC_1094Suggeriamo la lettura di questo articolo pubblicato dall'Informatore Agrario gestionedelsuoloviticolo .

A questo proposito ricordiamo che questo è il periodo per seminare le specie da utilizzare per l'inerbimento. Chiunque abbia bisogno di consigli e consulenza a riguardo può contattarci cliccando qui.

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DSC_1004Colpa della peronospora, e anche dell’oidio. Dopo 30 anni di scetticismo e ostilità l’Italia autorizza la coltivazione dei primi vitigni resistenti selezionati negli anni ’80 in Germania presso l’Istituto per la viticoltura di Friburgo (Tab.1). L’iscrizione nel Registro nazionale è avvenuta nel luglio dell’anno scorso. L’autorizzazione alla coltivazione in Veneto e Lombardia (che si aggiungono così al Trentino Alto Adige) è di questa estate. Il clima umido e piovoso di quest’anno e i pesanti attacchi delle crittogame spingono però a fare di più. Le varietà tedesche sono infatti caratterizzate da resistenze per lo più monogeniche e soprattutto hanno un ciclo breve e una maturazione precoce. Non sono adatte per tutte le Regioni italiane. La soluzione è dietro l’angolo. Il nostro Paese ha il primato della prima decodifica del genoma della vite e l’attività di ricerca negli istituti che si sono sfidati per raggiungere questo importante risultato nel 2008 non si è esaurita.

L’effetto additivo dei geni

«L’attività di miglioramento genetico della vite – spiega Riccardo Velasco del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Mach (San Michele all’Adige -Tn)- punta alla combinazione di diversi genotipi con resistenze di differente origine». È la cosiddetta pirimidazione: partendo da varietà di provenienza americana (come Muscadinia rotundifolia) o asiatica (Vitis amuriensis) e reincrociandole con varietà di Vitis vinifera si punta a “diluire” progressivamente il contributo del donatore esogeno (che può portare deviazioni organolettiche non gradite), ma soprattutto a concentrare più geni di resistenza in un solo genotipo élite. Fin dall’avvio di questa attività è stata infatti chiara l’esistenza di diversi livelli di resistenza (l’immunità non esiste). Sia la peronospora che l’oidio sono sensibili all’effetto additivo di geni diversi di resistenza. In Nord Europa per arrivare alle prime varietà ci sono voluti decenni di incroci e selezioni presso i centri di ricerca di Friburgo in Germania e Pecs in Ungheria. La selezione assistita con marker molecolari consente oggi di velocizzare il processo di selezione (e la verifica della presenza di più geni di resistenza) e qui entrano in gioco gli Istituti di ricerca italiani. Presso la Fondazione Mach negli ultimi 4 anni sono stati effettuati 73 incroci, che hanno dato origine a 2500 semenzali in tunnel. Per vedere in anteprima le varietà del futuro Miva (i moltiplicatori viticoli italiani) ha organizzato a San Michele all’Adige un convegno in occasione del recente Congresso nazionale. In questa circostanza Velasco ha spiegato che dalle 32mila piantine sottoposte a screening dal 2009 sono stati selezionati 200 genotipi con diversi gradi di resistenza, 98 genotipi con resistente piramidate e 223 con nuove resistenze. L’obiettivo è quello di ottenere entro pochi anni nuove varietà con almeno due geni di resistenza per oidio e due per peronospora. E oltre al carattere resistenza si punta anche a differenziare l‘epoca di maturazione e a migliorare il contenuto in terpeni, ma anche sull’apirenia dell’uva da tavola. 

Iga vicino al traguardo

Dopo anni di forzata inattività (i vitigni coltivati sono almeno bicentenari) è così ripartita l’attività italiana di miglioramento genetico della vite. E sembra ancora più vicina a raccogliere i frutti l’attività di ricerca approntata da Iga, Istituto di genomica applicata dell’Università di Udine. È attesa infatti a giorni (entro fine 2014) l’iscrizione nel Registro nazionale delle prime dieci varietà resistenti a perono- »»» spora e oidio (v. Tab.2) ottenute dal team di ricercatori friulani in collaborazione con l’Università di Udine e i Vivai cooperativi Rauscedo. Si tratterebbe del traguardo di un’attività di ricerca partita 15 anni fa che attraverso un programma di incroci progressivi di varietà di Vitis vinifera nazionali e internazionali con varietà resistenti come Bianca, Regent o “20-3” ha puntato all’introgressione di resistenze robuste e durature in nuovi vitigni caratterizzati da un ottimo profilo organolettico.

L’avversione agli ibridi

Un’iscrizione attesa (la domanda è stata presentata a fine 2013) che consentirebbe di superare per la prima volta uno scoglio normativo. La storica avversione italiana per gli ibridi produttori diretti (i fragolino e i clinto una volta tanto diffusi) ha determinato infatti il vincolo di dover iscrivere nel Registro varietale nazionale solo le categorie Vitis vinifera e “ibridi interspecifici”, di cui solo le prime sono ammesse a coltivazione per la produzione di uva da vino. In Germania prevale invece il criterio ampelografico (se i tratti predominanti sono quelli della vite europea, allora si può si può registrare come vinifera e quindi coltivare). Nel caso delle varietà friulane, il fatto che le linee di introgressione selezionate contengano una porzione nettamente preponderante di genoma di Vitis vinifera rispetto agli ibridi interspecifici conosciuti finora e il precedente dell’iscrizione delle varietà di Friburgo dovrebbero far propendere verso l’autorizzazione alla coltivazione. Anche perché l’Unione europea, nell’ultima riforma della piramide qualitativa del vino, ha introdotto una categoria che calzerebbe a pennello ai vini ottenuti con queste nuove varietà: quella dei vini varietali, appunto, che in Italia ancora stentano a decollare.

Il “sangue” nostrano

Occorre però superare alcune criticità. «La tipicità – sostiene Mauro Catena di Cantine Riunite – è il tratto caratteristico della nostra produzione, quello che ci fa vincere la sfida rispetto a i produttori del nuovo mondo. Sarebbe stato forse meglio se invece dell’introgressione del “sangue” americano o asiatico si fosse proceduto allo screening delle resistenze presenti nelle nostre popolazioni. Varietà come il Lambrusco dovrebbero contenerne ». «Negli Usa – afferma Enrico Zanoni di Cavit -, nostro principale mercato di riferimento, è soprattutto la varietà ad orientare le scelte dei consumatori. Non so se c’è spazio per nuove iscrizioni e la carta della sostenibilità è in questo caso difficile da spiegare». 

«Veniamo da un’annata – ribatte Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative –in cui gli agricoltori hanno dovuto farsi carico di costi notevoli, sia in termini di denaro che di tempo, per fare fronte ai problemi causati da peronospora e oidio. Qualsiasi soluzione che consenta di abbassare il numero dei trattamenti contribuisce alla sostenibilità economica delle aziende. E rafforza il rapporto di fiducia con i consumatori».

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uvaIl vino avrà il proprio padiglione a Expo 2015. Il vino made in Italy alla kermesse che prenderà il via a maggio 2015 a Milano avrà a disposizione uno spazio di circa 2mila metri quadri che si troverà all'interno dell'area denominata Padiglione Italia all'incrocio tra i cardo Nord Est e il decumano, nella piazza centrale dell'intera area Expo dove godrà della massima visibilità. Un padiglione sul quale finalmente è stato alzato il sipario oggi a Roma. FOTO Taste of Italy, il padiglione del vino per Expo 2015 Bracco: ecco cosa vogliamo raccontare nel Padiglione del vino Sarà "Vino, a taste of Italy" il nome del Padiglione, realizzato in collaborazione dal ministero per le Politiche agricole, Padiglione Italia e Veronafiere (l'ente organizzatore di Vinitaly) e che sarà innanzitutto diretto a raccontare la storia del rapporto fra uomini, natura e territorio. continua a leggere

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