Vigneti, dai diritti alle autorizzazioni

117703_420x270La nuova Ocm (organizzazione comune di mercato) per il periodo 2014-2020 ha confermato l’abolizione di tutti i precendenti strumenti di contenimento dell’offerta (Reg. 1308/2013): 
quote latte dal 1° aprile 2015; 
quote zucchero dal 1° ottobre 2017; 
diritti di impianto dei vigneti dal 1° gennaio 2016. 
Anche la viticoltura apre la strada alla completa liberalizzazione della produzione e finisce un’epoca, durata 30 anni, di rigido controllo degli impianti viticoli. Tuttavia, per questo settore rimane un carattere di eccezionalità nell’ambito della nuova Ocm tramite un certo livello di programmazione dell’offerta; infatti, contemporaneamente all’abolizione dei diritti di impianto dei vigneti dal 1° gennaio 2016, viene istituito un nuovo sistema di autorizzazione all’impianto, che – di fatto – rappresenta una liberalizzazione controllata.

La fine dei diritti di impianto

Il sistema vigente oggi, è imperniato sul concetto di “diritto di impianto o reimpianto”; esso cesserà ufficialmente di esistere il 31 dicembre 2015 (tab. 1). 

In sua sostituzione, è previsto un regime transitorio dinamico che può essere attivato a scelta da parte degli Stati membri, chiamato di autorizzazione all’impianto, che avrà una durata dal 2016 al 2030. L’Italia ha deciso di adottare tale regime. 

Dal 1° gennaio 2016, i viticoltori che vorranno impiantare nuovi vigneti non dovranno più acquistare i “diritti” da un altro produttore che espianta, ma dovranno richiedere l’autorizzazione gratuita, sulla base della disponibilità dei singoli Stati. Questa la novità più rilevante, per i viticoltori, nell’ambito della riforma della Pac 2014-2020.

Dal 1° gennaio 2016, i viticoltori che decidono di espiantare un vigneto regolare riceveranno un’autorizzazione all’impianto, che non sarà trasferibile; quindi potranno solamente impiantare il vigneto nella propria azienda, senza possibilità di venderla. 

Il viticoltore che intende espiantare un vigneto può anche ottenere un reimpianto anticipato di 4 anni, per l’entrata in produzione del nuovo vigneto, prima dell’espianto dell’altro vigneto. Il nuovo sistema di gestione del potenziale produttivo, basato sulle autorizzazioni, a partire dal 1° gennaio 2016 e fino al 2030, metterà fine al sistema dei diritti di impianto dei vigneti con l’obbiettivo di assicurare una maggiore flessibilità alle imprese, ma senza i rischi della temuta liberalizzazione.

Crescita dell’1% annuo

Dal 1° gennaio 2016, gli Stati membri possono concedere autorizzazioni gratuite ad impiantare nuovi vigneti per una quota non superiore all’1% annuo del totale vigneto nazionale.

Gli Stati membri avranno la facoltà di ridurre questa percentuale e limitarne il rilascio in zone specifiche (vini di qualità), tenendo conto delle raccomandazioni dei Consorzi di Tutela e/o Organizzazione di Produttori. 

Se le richieste di autorizzazione saranno superiori alla percentuale fissata dell’1%, le autorizzazioni saranno concesse in proporzione e/o in base a criteri di priorità: giovani produttori, requisiti ambientali, ricomposizione fondiaria, sostenibilità economica, incremento della competitività aziendale e di territorio, incremento della qualità dei prodotti a Dop-Igp, aumento della dimensione di aziende piccole e medie.

Questa clausola non significa che gli Stati membri possono liberamente ridurre o limitare la concessione di autorizzazioni all’impianto di vigneti; anzi tali politiche restrittive dovranno essere giustificate (es. rischio di offerta eccedentaria o svalutazione dei prodotti a Dop o Igp), al fine di contribuire ad un aumento ordinato degli impianti vitati.

Fra diritto e autorizzazione

Sia il “diritto” d’impianto che il nuovo sistema di “autorizzazione” hanno la stessa finalità, quella di consentire al soggetto titolare di impiantare un vigneto all’interno di un sistema di contenimento dell’offerta; ciononostante le differenze sono notevoli tra diritto e autorizzazione (tab. 2). 

Innanzitutto, il diritto è oggi commercializzabile, quindi si può venderlo senza la terra. Questa opzione non è invece prevista nel sistema francese, dove ogni diritto all’impianto è sempre legato a una particella di vigneto. In Italia, il diritto ha quindi un valore di mercato, direttamente proporzionale alla domanda e offerta di diritti d’impianto. 

L’autorizzazione imita lo schema francese: essa viene concessa dall’Autorità pubblica (Stato o Regioni) e non può essere compravenduta neppure a titolo gratuito. Con il nuovo sistema di autorizzazioni, a ogni viticoltore che espianta viene automaticamente concessa la possibilità di richiedere un’autorizzazione per il reimpianto del medesimo ettaro; ma se l’autorizzazione non viene esercitata nella sua azienda, si perde.

La grande differenza tra il sistema dei diritti e quello delle autorizzazioni è quindi la commerciabilità, con le sue conseguenze. Il diritto, oltre ad una sua naturale scadenza più ampia rispetto all’autorizzazione (cinqueotto campagne a seconda delle regioni), consentiva innanzitutto più opzioni al produttore: 
- piantare il vigneto; 
- vendere il diritto, separatamente dalla terra. 
Il diritto aveva quindi un suo valore patrimoniale.

Cosa succederà ai diritti in portafoglio?

Oggi, in Italia, sono in circolazione circa 50.000 ettari di diritti: di questi, il 90% sono detenuti dai produttori, il resto è nelle riserve regionali. 

La nuova Ocm prevede che tutti questi diritti in portafoglio possano essere convertiti in autorizzazioni nel momento in cui andrà a regime il nuovo il sistema. 

Dal 1° gennaio 2016, quindi, in Europa non si avranno più diritti, ma solo autorizzazioni; nessuna di queste potrà essere compravenduta e ceduta a terzi.

La proroga italiana

In sede di negoziato sulla Pac 2014-2020, proprio in considerazione dell’alto numero di ettari detenuti in forma di diritti, l’Italia aveva chiesto e ottenuto una proroga al termine di conversione dei diritti in autorizzazioni. 

Alla luce della normativa approvata, i produttori potranno chiedere la conversione non entro il 31 dicembre 2015, ma cinque anni più tardi, i1 31 dicembre 2020. Da qui, decorrono tre anni di validità del autorizzazione, per cui il limite massimo per effettuare l’impianto del vigneto autorizzato è il 31 dicembre 2023. Nel frattempo, nel 2018 interverrà la revisione di metà percorso della Pac.

Non ci sarà un doppio binario

Sempre in sede di negoziato si era ventilata l’ipotesi di una sorta di doppio binario ovvero la possibilità di mantenere in vita il sistema dei diritti vigente, compresa quindi la possibilità della commercializzazione. 

L’ipotesi del doppio binario (diritti commercializzabili in attesa di convertirli in autorizzazioni), è preclusa e il sistema dei diritti di reimpianto è formalmente abolito il 31 dicembre 2015. 

Quello che la Commissione concede, in gran sostanza, è solo un lasso di tempo maggiore per dar modo a ogni azienda di valutare il momento più opportuno di convenire il diritto posseduto in autorizzazione. Trascorso infruttuosamente questo tempo, il diritto cocomunque decade ovvero, il 31 dicembre 2020 se il produttore non ha fatto richiesta di conversione, al più tardi il 31 dicembre 2023 se ha fatto richiesta di conversione, ma non ha effettuato l’impianto (e qui si pagherà la relativa sanzione). 

Bisogna sottolineare che, con il nuovo sistema autorizzativo, il settore viticolo manterrà comunque una forma di regolazione, e sarà l’unico a farlo nell’ambito della Pac, dato che le quote latte e le quote dello zucchero saranno definitivamente abolite.

Gli effetti su patrimonio viticolo

Il passaggio dai diritti di impianto al sistema delle autorizzazioni avrà un grande impatto sul potenziale viticolo nazionale. 

Il diritto era una sorta di paracadute per il vigneto Italia: consentiva a chi intendeva smettere l’attività produttiva di cederlo ad altri soggetti intenzionati invece a espandere il proprio vigneto. Questo sistema non faceva crescere il potenziale produttivo, ma ne limitava il depauperamento. 

Con il nuovo sistema di autorizzazioni, se l’espianto è dovuto a cause economiche o semplicemente all’età avanzata del titolare, quell’ettaro di vigneto andrà perduto per sempre, per due ragioni: 
- l’autorizzazione è data nominalmente all’azienda e ancorata alla sua superficie, per cui se l’azienda cessa, scompaiono anche le sue prerogative; 
- la soppressione del regime dei diritti, a partire dal 1° gennaio 2016, comporta la scomparsa delle “riserve”, che avrebbero potuto fungere da centri di raccolta delle autorizzazioni non richieste a seguito di espianto. 
In Italia, che ha visto e continua a vedere forti erosioni della superficie, il sistema autorizzativo mostra un altro problema. Le autorizzazioni consentono la possibilità di ampliare le superfici a vite degli Stati membri per una quota non superiore all’1% del totale vigneto nazionale. 

In Italia, il potenziale aumento del vigneto sarebbe di circa 6.000 ettari annui. A ciò si aggiungono i diritti in portafoglio e quelli delle riserve, che ammontano a circa 50.000 ettari; se venissero convertiti e piantati tutti nel giro di due anni, allora entrerebbero anch’essi nel calcolo dell’1%, contribuendo ad aumentare leggermente gli ettari a disposizione. 

Questa ragione è alla base della scelta del Ministero di sbloccare i diritti detenuti nelle riserve e dall’altra di revocare ove previsti i limiti alla commercializzazione extra regione, consentendo di sfruttare al massimo il meccanismo delle compravendite fino al 31 dicembre 2015. 

Per l’Italia, a questo punto, si pongono alcuni scenari: 
- quello peggiore, che vede un’ondata erosiva di ampia portata (negli ultimi dieci anni circa 7-8.000 ettari di vigneto l’anno non più rimpiazzabili dalla compravendita dei diritti), con richieste per nuove autorizzazioni che non arrivano a coprire il massimale dell’1% disponibile; in tal caso il saldo sarebbe zero o addirittura in passivo. 
- quello migliore, a fronte sempre di estirpi fisiologici per 4-5.000 ettari, di avere richieste che coprono i 6-7.000 ettari disponibili, quindi con un saldo finale di crescita di 2.000 ettari circa. 

Questo secondo scenario che prevede un saldo positivo tra cessazioni e nuovi impianti si produce se le autorizzazioni hanno un appeal appeal per le aziende. Qui un ruolo fondamentale avrà il meccanismo con cui verranno concesse. 

I Paesi possono agire in due fasi: per scremare sin dall’inizio le domande, attivando criteri preliminari di ammissibilità, e successivamente - in caso comunque di domande in eccesso - agendo con criteri di priorità. Ricordiamo a questo proposito un dettaglio non trascurabile, che deriva dall’architettura istituzionale della gestione della materia agricola, dove la Costituzione assegna un ruolo centrale alle Regioni. Il sistema autorizzativo dev’essere. quindi, condiviso con le Regioni: è facilmente intuibile che i 6.000 ettari potenziali finirebbero per essere suddivisi tra 21 Regioni e Province autonome che si troverebbero con richieste massicce, e altre invece con richieste inferiori al disponibile. 
È evidente quindi la necessità di attivare dei meccanismi di compensazione o travaso che allungherebbero in maniera esponenziale i tempi di rilascio delle autorizzazioni.

Sistema più rigido

Il nuovo sistema delle autorizzazioni permette un incremento delle superfici (1%), ma è più rigido dell’attuale sistema dei diritti di impianto, in quanto: 
- non consente di concentrare le autorizzazioni là dove servono e in tempi brevi; 
- non permette l’immediato trasferimento di ettari da zone in crisi a zone in espansione, penalizzando di fatto entrambe; 
- non garantisce a regioni, zone, aziende che hanno la possibilità di crescere la certezza di avere le risorse per farlo in tempi e quantità sufficienti allo scopo prefisso. 

Ad esempio, un fenomeno come quello del Prosecco, che ha drenato diritti di reimpianto per 4.000 ettari in 4 anni, non sarebbe più replicabile nelle modalità e nei tempi che lo hanno caratterizzato. 

Le conseguenze sono molto negative per un Paese come l’Italia, che presenta un panorama vitivinicolo molto variegato: 
- non avendo più meccanismi di “travaso” tra produttori o “riserve” dove far confluire le autorizzazioni non esercitate a seguito di espianto, non mette al riparo da dinamiche di crisi del sistema produttivo che portino a massicci abbandoni, come verificatisi negli anni recenti; 
- un saldo negativo tra espianti e nuovi impianti si ripercuote sull’1% della dotazione complessiva di autorizzazioni disponibile l’anno seguente, attivando una sorta di meccanismo involutivo del patrimonio vitato nazionale da cui sembra difficile uscire. 

Per alleggerire gli effetti negativi di questo nuovo sistema, due sono fattori che l’Italia deve valutare con grande attenzione: - i criteri di selezione delle domande; 
- il soggetto gestore delle concessioni. La scelta dell’Italia di revocare i limiti alla commercializzazione extra regione, consentendo di sfruttare al massimo il meccanismo delle compravendite fino al 31 dicembre 2015, va nella giusta direzione. 
Questa celta sarà prevista in un decreto ministeriale di prossima emanazione.

Conclusioni

I diritti di impianto sono una garanzia della viticoltura di qualità legata al territorio, che ha accompagnato l’espansione delle vendite di vino, con una crescita regolare del vigneto che ha contribuito a mantenere l’equilibrio tra offerta e domanda. 

L’abolizione dei diritti d’impianto genera conseguenze economiche e sociali gravi per il nostro Paese con rischi di eccedenze di produzione e di delocalizzazione in zone a più alta resa per ettaro. 

Il vino è il fiore all’occhiello del commercio agroalimentare italiano (4,4 miliardi di euro) con un fatturato di 10,7 miliardi di euro e riveste un ruolo strategico dal punto di vista economico e occupazionale in molte aree del Paese. 

La gestione degli impianti è importante per tutti i tipi di vino, sia Dop e Igp che quelli senza indicazione geografica; anzi le criticità della liberalizzazione sono ancora più marcate per i vini senza indicazione, in particolare quelli varietali, ai quali non è possibile applicare strumenti aggiuntivi di regolamentazione.

Fonte

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