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112834-600x400Le proteine vegetali sono al centro dell’attenzione della politica agraria comunitaria e nazionale.

Due eventi politici confermano questa affermazione:

- la nuova Pac 2014-2020 ha inserito una dotazione specifica nel sostegno accoppiato;

- il ministro Maurizio Martina le ha inserite nelle proprie linee programmatiche.

Ampie ragioni giustificano l’attenzione alla produzione di proteine vegetali, soprattutto nel nostro Paese, che vive di un cronico deficit di approvvigionamento.

Le colture

Le colture destinate alle proteine vegetali sono: piante proteiche (pisello proteico, fave e favette, lupino dolce), proteoleaginose (girasole, soia, colza) e foraggere leguminose (erba medica, trifoglio, ecc.).

Tali colture consentono al produttore agricolo di migliorare l’ordinamento produttivo, stimolando la rotazione tra colture depauperanti e colture da rinnovo, interrompendo la monosuccessione di cereali. Inoltre contribuiscono a favorire la rotazione, con molteplici benefici ambientali:

- migliorano la struttura e la fertilità del terreno;

- riducono l’impiego di fertilizzanti di sintesi e di agrofarmaci;

- evitano i gravi rischi di abbandono e/o di depauperamento dei terreni a causa della monocoltura di cereali.

Tali vantaggi hanno spinto l’Unione europea a promuovere un “piano proteine vegetali” che, tuttavia, è stato lasciato alla volontà degli Stati membri e solo in pochi hanno colto questa opportunità.

Nell’attuale articolo 68, la Francia ha destinato 40 milioni di euro annui per sostenere la produzione di proteine vegetali. Nessun segnale dall’Italia!

Il nuovo sostegno accoppiato

L’opportunità più concreta per stimolare la produzione di proteine vegetali deriva dalla nuova Pac 2014-2020.

Gli Stati membri possono destinare una percentuale del massimale nazionale per concedere aiuti accoppiati per una larga gamma di prodotti: cereali, semi oleosi, colture proteiche, legumi da granella, lino, canapa, riso, frutta a guscio, patate da fecola, latte e prodotti lattiero-caseari, sementi, carni ovine e caprine, carni bovine, olio d’oliva, bachi da seta, foraggi essiccati, luppolo, barbabietola da zucchero, canna da zucchero e cicoria, prodotti ortofrutticoli, bosco ceduo a rotazione rapida.

L’obiettivo di questa tipologia di pagamenti diretti è di concedere un sostegno accoppiato a quei settori o a quelle regioni in cui esistono determinati tipi di agricoltura o determinati settori agricoli che:

- si trovano in difficoltà;

-rivestono una particolare importanza per ragioni economiche, sociali o ambientali.

Il finanziamento del pagamento accoppiato deriva da una percentuale fino al 13% del massimale nazionale. Inoltre gli Stati membri hanno la possibilità di aumentare il finanziamento del pagamento accoppiato del 2%, arrivando quindi fino al 15%, per sostenere la produzione di colture proteiche.

L’importo massimo a disposizione dell’Italia per le proteine vegetali è di 79 milioni di euro (2% del massimale dei pagamenti diretti nel 2015) destinato a scendere fino a 74 milioni di euro (2% del massimale dei pagamenti diretti nel 2019).

Le scelte nazionali

Le decisioni degli Stati membri sul sostegno accoppiato dovranno essere notificate alla Commissione entro il 1° agosto 2014.

L’Italia dovrebbe cogliere questa opportunità per stimolare la produzione di proteo-leaginose (soia, girasole e colza), di leguminose proteiche (favino, pisello proteico, ecc.) e di foraggere leguminose (erba medica, trifoglio, ecc.) e di foraggi essiccati.

Nel periodo 2010-2014, l’Italia non ha colto questa possibilità, ma stavolta è proprio la volta buona.

Il ministro Maurizio Martina nelle linee programmatiche, presentate alla Camera e al Senato, ha affermato l’importanza di realizzare un piano proteine vegetali su vasta scala, al quale sarebbero associati una serie di importanti obiettivi:

1) ridurre la dipendenza dall’estero in termini di approvvigionamento di proteine vegetali: oggi si importa il 90% circa delle farine di soia e di girasole, che rappresentano la principale base proteica dell’industria mangimistica italiana;

2) ridurre l’inquinamento da nitrati, nelle regioni del bacino idrografico del fiume Po, grazie alla reintroduzione delle rotazioni colturali tra cereali e colture “azotofissatrici”;

3) offrire una valida alternativa produttiva da avvicendare ai cereali.

Queste affermazioni fanno presagire la scelta italiana di inserire le proteine vegetali nei settori del sostegno accoppiato, seppure non ci sono ancora ipotesi sullo stanziamento e sugli importi ad ettaro.

Il greening e il PSR

Nella Pac 2014-2020, oltre al sostegno accoppiato, sono previsti diversi altri strumenti per lo sviluppo di colture proteiche: facilitazioni nel pagamento ecologico (greening), misure agro-climatico-ambientali dei nuovi PSR, PEI (Programma Europeo per l’Innovazione).

Il Parlamento europeo ha chiesto espressamente “un piano strategico di approvvigionamento di proteine vegetali che consenta all’Unione di ridurre la sua forte dipendenza dall’estero”.

Nell’applicazione del green-ing, le superfici occupate da colture che fissano l’azoto (colture azotofissatrici), assolvono l’impegno di aeree ecologiche. In altre parole, una superficie a erba medica, a soia o favino consente di ottemperare al 5% delle superfici ad aree ecologiche, previste dai vincoli del greening.

I nuovi PSR

Nei nuovi PSR è prevista una misura, i pagamenti agro-aclimatico-ambientali, che si sposa perfettamente con i vantaggi delle colture proteiche.

A tal fine si può prevedere una rotazione obbligatoria con almeno una coltura proteica, nonché un maggiore sostegno alle zone di pascolo permanente, comprese le miscele specifiche di foraggi verdi e leguminose.

Un’altra possibilità è la concessione di sussidi per gli agricoltori che producono colture proteiche con sistemi di rotazione che contribuiscono a ridurre le emissioni di gas a effetto serra e il deficit di colture proteiche nell’UE e a rafforzare la lotta contro le malattie e la fertilità dei suoli.

L’innovazione con il PEI

Il Parlamento europeo ha invitato a sostenere la ricerca in materia di riproduzione e fornitura di sementi per le colture proteiche nell’Ue, a migliorare i servizi di divulgazione e, nell’ambito dello sviluppo rurale, i servizi di formazione per gli agricoltori sull’uso della rotazione.

A riguardo, l’iniziativa europea per l’innovazione in agricoltura (PEI) della Commissione europea dovrebbe istituire ungruppo di lavoro sullo sviluppo di colture proteiche, prendendo in considerazione anche la questione della biodiversità delle piante.

L’Italia e le proteine vegetali

L’eccezionale impennata dei prezzi della soia e delle farine proteiche nel 2012 ha messo in evidenza il grave rischio di una tale dipendenza estera di proteine vegetali. Basti pensare all’aumento del prezzo della soia che in Italia è passata da 200 euro/ton del 2005 agli 550 euro/ton nel 2013; oggi si attesta sui 470 euro/ton (fig. 1).

Il deficit europeo ed italiano di proteine vegetali è rilevante. Nell’Ue, la produzione totale di colture proteiche occupa attualmente solo il 3% dei terreni coltivabili e fornisce solo il 30% delle colture proteiche utilizzate come alimenti per animali nell’UE, con una tendenza, negli ultimi dieci anni, all’aumento di tale deficit.

L’obiettivo non è di produrre nell’Unione europea la totalità del fabbisogno, ma migliorare l’approvvigionamento interno a vantaggio degli utilizzatori, soprattutto gli allevatori.

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117925_420x270Il mantenimento dei prati e pascoli permanenti è uno dei tre impegni del greening (tab. 1), che l’agricoltore deve rispettare dal 1° gennaio 2015. Dei tre impegni è quello meno stringente, ciononostante gli agricoltori devono prestare molta attenzione agli aspetti applicativi.

I vincoli, da rispettare, sono due:
1. nelle zone ecologicamente sensibili, gli agricoltori non possono convertire o arare i prati e pascoli permanenti;
2. nelle altre zone, gli agricoltori possono convertire i prati e pascoli permanenti, solo dopo l’autorizzazione di Agea.
Vediamo nel dettaglio.

Prati e pascoli in zone sensibili

Gli Stati membri designano i prati e pascoli permanenti ecologicamente sensibili sotto il profilo ambientale nelle zone sensibili della rete “Natura 2000”, contemplate nelle direttive 92/43/Cee (direttiva “Habitat”) o 2009/147/Ce (direttiva “Uccelli”), incluse le torbiere e le zone umide ivi situate, e che richiedono una protezione rigorosa per conseguire gli obiettivi di dette direttive. Inoltre, gli Stati membri possono designare i prati e pascoli permanenti ecologicamente sensibili anche al di fuori di tali zone. In Italia, il decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014 attribuisce questa possibilità alle Regioni.

Gli agricoltori non possono convertire o arare i prati e pascoli permanenti nelle zone ecologicamente sensibili.

Diminuzione massima del 5%

Gli Stati membri devono assicurare che il rapporto tra “prati e pascoli permanenti” e la “superficie agricola totale” non diminuisca in misura superiore al 5%. Quindi gli Stati membri assicurano il mantenimento di una certa proporzione delle superfici a prato e pascolo permanente.

La quota, da tenere sotto controllo, si ottiene dal rapporto tra:
• superficie investita a prato e pascolo permanente;
superficie agricola totale dichiarata.

La verifica della diminuzione richiede un confronto tra la quota ex-ante e la quota di ogni anno dal 2015 al 2020.

La quota ex-ante (A), chiamata “quota di riferimento”, costituita da:
• superficie investita a prato e pascolo permanente nel 2012, più la superficie investita a prato e pascolo permanente nel 2015 che non è stata dichiarata nel 2012;
• superficie agricola totale dichiarata nel 2015.

La quota di ogni anno (B) si calcola dal seguente rapporto:
• superficie investita a prato e pascolo permanente di ogni anno;
• superficie agricola totale dichiarata ogni anno.

La variazione di B rispetto A non deve diminuire in misura superiore al 5%.

Obbligo a livello nazionale

Il Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014 prevede che l’obbligo di rispetto della quota “prati e pascoli permanenti” si applichi a livello nazionale; quindi il singolo agricoltore non deve avere preoccupazioni per questo impegno.

Tuttavia, qualora uno Stato membro accerti che il rapporto è diminuito di oltre il 5%, deve prevedere obblighi per i singoli agricoltori di convertire terreni a prato permanente. Il Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014, per cautela, ha fissato questa percentuale al 3,5%.

La diminuzione dei prati e pascoli permanenti è spesso imputabile a un aumento degli imboschimenti; in tale caso non viene considerata come una diminuzione dei prati e pascoli permanenti, in quanto l’imboschimento è compatibile con l’ambiente.

Al fine di verificare il controllo sulle superfici a prati e pascoli permanenti, in Italia il Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014 impone che gli agricoltori possano convertire i prati e pascoli permanenti, solo dopo l’autorizzazione di Agea. L’autorizzazione di Agea è rilasciata entro 30 giorni.

La richiesta di autorizzazione non prevede un diniego da parte di Agea, ma solo la necessità di controllare l’evoluzione della superficie a prati e pascoli permanenti, al fine di dimostrare alla Commissione europea il rispetto della quota.

Quindi gli agricoltori interessati a convertire un “prato e pascolo permanente” in seminativi o colture arboree possono ottenere l’autorizzazione automaticamente.

Nessuna preoccupazione, solo un po’ di attenzione

L’impegno del mantenimento dei prati e pascoli permanenti è stato creato per salvaguardare i prati e pascoli permanenti considerati estremamente sensibili da un punto di vista ambientale.

Il mantenimento dei prati e pascoli permanenti era già presente nella vecchia Pac con una norma della condizionalità e, in sostanza, la situazione non cambia molto dal precedente obbligo di condizionalità.

In Italia, il rischio di diminuzione del 3,5% della quota è praticamente inesistente, in quanto l’interesse a convertire ad arare i prati e i pascoli permanenti è molto limitato.

In sintesi, gli agricoltori devono solo fare un po’ di attenzione e precisamente:
• nelle zone ecologicamente sensibili, non possono convertire o arare i prati e pascoli permanenti;
• nelle altre zone, possono convertire i prati e pascoli permanenti, solo dopo l’autorizzazione di Agea.

Il caso dell’erba medica

Un’attenzione particolare va posta alla definizione di “prato e pascolo permanente” (art. 4, par. 1, lett. h), Reg. 1307/2013): terreno utilizzato per la coltivazione di erba o di altre piante erbacee da foraggio, naturali (spontanee) o coltivate (seminate), e non compreso nell’avvicendamento delle colture dell’azienda per almeno cinque anni o più.

Quindi, un medicaio diventa “prato e pascolo permanente” dopo il 5° anno dall’impianto ossia dal 6° anno. Pertanto, l’agricoltore può arare il medicaio il 6° anno, mantenendo sempre il terreno a seminativo. Ovvero, dopo il 6° anno l’agricoltore può arare il medicaio, che ritorna a seminativo.

Questa norma, che è sempre esistita nella Pac, desta molta apprensione tra gli agricoltori, ma la preoccupazione è irragionevole; la novità è che Agea intende fare i controlli.

Qual è il problema, in fase di controllo, se il medicaio diventa coltura permanente? Nessun problema.

L’unica attenzione è l’impegno del greening, che chiede all’agricoltore di comunicare 30 giorni prima ad Agea tramite il Caa, l’aratura del medicaio e il ritorno a seminativo. Agea non può opporsi, deve solo tenere i conti dell’evoluzione dei prati e pascoli permanenti in Italia.

L’unico vero vincolo esiste nelle zone sensibili, contemplate nelle direttive 92/43/Cee (direttiva “Habitat”) o 2009/147/Ce (direttiva “Uccelli”), dove è vietata la conversione dei prati e pascoli permanenti.

Su questa questione si stanno ingenerando paure ingiustificate.

Fonte: http://www.agricoltura24.com/come-mantenereprati-e-pascoli-permanenti/0,1254,54_ART_9026,00.html

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117858_420x270L’erba medica potrebbe diventare la coltura di punta della prossima Pac. Favorita dalle misure del greening (è tra le specie azotofissatrici che ottemperano al vincolo relativo della presenza del 5% di superfici a seminativo in aree a interesse ecologico), incoraggiata da alcuni programmi di sviluppo rurale (la Lombardia ha previsto un aiuto di 190 €/ha per i nuovi medicai per un massimo di sei anni), la medica parrebbe la soluzione a tanti problemi, sia di carattere ambientale, sia agronomico per i piani colturali del prossimo anno di tantissime aziende agricole, anche non zootecniche. 

Innegabili vantaggi, è però necessaria un’approfondita riflessione economica. Vale la pena oggi seminare erba medica? Guardiamo ai principali mercati italiani ove è quotato il fieno di medica e confrontiamo i listini con quelli di esattamente un anno fa. Troviamo prezzi decisamente inferiori che, diversificati per taglio e piazza di quotazione, mostrano cali compresi fra il 20% e 39%. Le perdite maggiori si registrano sui mercati di Bologna e Mantova, soprattutto per i tagli migliori dal punto di vista qualitativo, ovvero quelli dal secondo al quarto. Sulla piazza emiliana, oggi il fieno di erba medica in balloni è quotato mediamente 120 €/t contro un prezzo medio di dicembre 2013 di 190 €/t. Così anche a Mantova, il secondo taglio è quotato in media 113 €/t rispetto ai 185 €/t di un anno fa. I motivi di tali performance negative sembrerebbero legati essenzialmente a tre fattori. In primo luogo, il positivo andamento stagionale, con elevata piovosità nel periodo estivo, ha favorito sensibilmente le rese anche nei terreni non irrigui, determinando un’abbondanza di prodotto, soprattutto per i tagli di luglio e agosto. Produzioni di 11-12 t/ha nella pianura lombarda e emiliana sono state di fatto la norma. In secondo luogo, la politica di contenimento delle produzioni di latte e formaggio decretate all’interno del comprensorio del Parmigiano Reggiano portano inevitabilmente a tirare il freno delle produzioni, penalizzando l’utilizzo di fonti proteiche come l’erba medica. Infine, per i motivi legati alla nuova Pac, gli operatori di mercato prevedono per la prossima campagna un aumento delle superfici a medica. 

A conti fatti, un produttore di fieno di medica, rispetto a un anno fa, incassa circa 800 €/ha in meno, perdita solo parzialmente compensata da una diminuzione di costi produttivi legata all’impiego minore di interventi irrigui. Insomma, con questi prezzi forse vale la pena riconsiderare le scelte colturali del prossimo anno. Nuova Pac permettendo.

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