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112834-600x400Le proteine vegetali sono al centro dell’attenzione della politica agraria comunitaria e nazionale.

Due eventi politici confermano questa affermazione:

- la nuova Pac 2014-2020 ha inserito una dotazione specifica nel sostegno accoppiato;

- il ministro Maurizio Martina le ha inserite nelle proprie linee programmatiche.

Ampie ragioni giustificano l’attenzione alla produzione di proteine vegetali, soprattutto nel nostro Paese, che vive di un cronico deficit di approvvigionamento.

Le colture

Le colture destinate alle proteine vegetali sono: piante proteiche (pisello proteico, fave e favette, lupino dolce), proteoleaginose (girasole, soia, colza) e foraggere leguminose (erba medica, trifoglio, ecc.).

Tali colture consentono al produttore agricolo di migliorare l’ordinamento produttivo, stimolando la rotazione tra colture depauperanti e colture da rinnovo, interrompendo la monosuccessione di cereali. Inoltre contribuiscono a favorire la rotazione, con molteplici benefici ambientali:

- migliorano la struttura e la fertilità del terreno;

- riducono l’impiego di fertilizzanti di sintesi e di agrofarmaci;

- evitano i gravi rischi di abbandono e/o di depauperamento dei terreni a causa della monocoltura di cereali.

Tali vantaggi hanno spinto l’Unione europea a promuovere un “piano proteine vegetali” che, tuttavia, è stato lasciato alla volontà degli Stati membri e solo in pochi hanno colto questa opportunità.

Nell’attuale articolo 68, la Francia ha destinato 40 milioni di euro annui per sostenere la produzione di proteine vegetali. Nessun segnale dall’Italia!

Il nuovo sostegno accoppiato

L’opportunità più concreta per stimolare la produzione di proteine vegetali deriva dalla nuova Pac 2014-2020.

Gli Stati membri possono destinare una percentuale del massimale nazionale per concedere aiuti accoppiati per una larga gamma di prodotti: cereali, semi oleosi, colture proteiche, legumi da granella, lino, canapa, riso, frutta a guscio, patate da fecola, latte e prodotti lattiero-caseari, sementi, carni ovine e caprine, carni bovine, olio d’oliva, bachi da seta, foraggi essiccati, luppolo, barbabietola da zucchero, canna da zucchero e cicoria, prodotti ortofrutticoli, bosco ceduo a rotazione rapida.

L’obiettivo di questa tipologia di pagamenti diretti è di concedere un sostegno accoppiato a quei settori o a quelle regioni in cui esistono determinati tipi di agricoltura o determinati settori agricoli che:

- si trovano in difficoltà;

-rivestono una particolare importanza per ragioni economiche, sociali o ambientali.

Il finanziamento del pagamento accoppiato deriva da una percentuale fino al 13% del massimale nazionale. Inoltre gli Stati membri hanno la possibilità di aumentare il finanziamento del pagamento accoppiato del 2%, arrivando quindi fino al 15%, per sostenere la produzione di colture proteiche.

L’importo massimo a disposizione dell’Italia per le proteine vegetali è di 79 milioni di euro (2% del massimale dei pagamenti diretti nel 2015) destinato a scendere fino a 74 milioni di euro (2% del massimale dei pagamenti diretti nel 2019).

Le scelte nazionali

Le decisioni degli Stati membri sul sostegno accoppiato dovranno essere notificate alla Commissione entro il 1° agosto 2014.

L’Italia dovrebbe cogliere questa opportunità per stimolare la produzione di proteo-leaginose (soia, girasole e colza), di leguminose proteiche (favino, pisello proteico, ecc.) e di foraggere leguminose (erba medica, trifoglio, ecc.) e di foraggi essiccati.

Nel periodo 2010-2014, l’Italia non ha colto questa possibilità, ma stavolta è proprio la volta buona.

Il ministro Maurizio Martina nelle linee programmatiche, presentate alla Camera e al Senato, ha affermato l’importanza di realizzare un piano proteine vegetali su vasta scala, al quale sarebbero associati una serie di importanti obiettivi:

1) ridurre la dipendenza dall’estero in termini di approvvigionamento di proteine vegetali: oggi si importa il 90% circa delle farine di soia e di girasole, che rappresentano la principale base proteica dell’industria mangimistica italiana;

2) ridurre l’inquinamento da nitrati, nelle regioni del bacino idrografico del fiume Po, grazie alla reintroduzione delle rotazioni colturali tra cereali e colture “azotofissatrici”;

3) offrire una valida alternativa produttiva da avvicendare ai cereali.

Queste affermazioni fanno presagire la scelta italiana di inserire le proteine vegetali nei settori del sostegno accoppiato, seppure non ci sono ancora ipotesi sullo stanziamento e sugli importi ad ettaro.

Il greening e il PSR

Nella Pac 2014-2020, oltre al sostegno accoppiato, sono previsti diversi altri strumenti per lo sviluppo di colture proteiche: facilitazioni nel pagamento ecologico (greening), misure agro-climatico-ambientali dei nuovi PSR, PEI (Programma Europeo per l’Innovazione).

Il Parlamento europeo ha chiesto espressamente “un piano strategico di approvvigionamento di proteine vegetali che consenta all’Unione di ridurre la sua forte dipendenza dall’estero”.

Nell’applicazione del green-ing, le superfici occupate da colture che fissano l’azoto (colture azotofissatrici), assolvono l’impegno di aeree ecologiche. In altre parole, una superficie a erba medica, a soia o favino consente di ottemperare al 5% delle superfici ad aree ecologiche, previste dai vincoli del greening.

I nuovi PSR

Nei nuovi PSR è prevista una misura, i pagamenti agro-aclimatico-ambientali, che si sposa perfettamente con i vantaggi delle colture proteiche.

A tal fine si può prevedere una rotazione obbligatoria con almeno una coltura proteica, nonché un maggiore sostegno alle zone di pascolo permanente, comprese le miscele specifiche di foraggi verdi e leguminose.

Un’altra possibilità è la concessione di sussidi per gli agricoltori che producono colture proteiche con sistemi di rotazione che contribuiscono a ridurre le emissioni di gas a effetto serra e il deficit di colture proteiche nell’UE e a rafforzare la lotta contro le malattie e la fertilità dei suoli.

L’innovazione con il PEI

Il Parlamento europeo ha invitato a sostenere la ricerca in materia di riproduzione e fornitura di sementi per le colture proteiche nell’Ue, a migliorare i servizi di divulgazione e, nell’ambito dello sviluppo rurale, i servizi di formazione per gli agricoltori sull’uso della rotazione.

A riguardo, l’iniziativa europea per l’innovazione in agricoltura (PEI) della Commissione europea dovrebbe istituire ungruppo di lavoro sullo sviluppo di colture proteiche, prendendo in considerazione anche la questione della biodiversità delle piante.

L’Italia e le proteine vegetali

L’eccezionale impennata dei prezzi della soia e delle farine proteiche nel 2012 ha messo in evidenza il grave rischio di una tale dipendenza estera di proteine vegetali. Basti pensare all’aumento del prezzo della soia che in Italia è passata da 200 euro/ton del 2005 agli 550 euro/ton nel 2013; oggi si attesta sui 470 euro/ton (fig. 1).

Il deficit europeo ed italiano di proteine vegetali è rilevante. Nell’Ue, la produzione totale di colture proteiche occupa attualmente solo il 3% dei terreni coltivabili e fornisce solo il 30% delle colture proteiche utilizzate come alimenti per animali nell’UE, con una tendenza, negli ultimi dieci anni, all’aumento di tale deficit.

L’obiettivo non è di produrre nell’Unione europea la totalità del fabbisogno, ma migliorare l’approvvigionamento interno a vantaggio degli utilizzatori, soprattutto gli allevatori.

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118010_420x270L’Imu sui terreni agricoli è stata definita in tempi record per far fronte alle spese previste dal decreto Irpef, tra l’altro il bonus degli 80 €. Pagata il 10 febbraio, calcolata e versata in base alla classificazione sintetica dell’Istat: comuni montani, parzialmente montani e non montani.

L’esenzione Imu vale per i terreni agricoli e quelli non coltivati che si trovano in Comuni classificati come totalmente montani; esenzioni parziali per i terreni agricoli e non coltivati posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, situati in Comuni definiti parzialmente montani. Per calcolare l’Imu sui terreni agricoli, valgono le stesse modalità di calcolo Imu degli altri immobili, partendo dalla base imponibile che si ottiene dal reddito domenicale, riportato sull’atto di proprietà o sulla visura catastale, rivalutato del 25% moltiplicato per 135, che è il coefficiente dei terreni per i Comuni in cui si paga l’Imu, o 75, coefficiente valido per i soli coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali. Alla base imponibile ottenuta si applica l’aliquota fissa al 7,6 per mille.

A giudicare dai criteri di esenzione, sembra tutto ok per il settore agricolo, che pare averla scampata per l’ennesima volta, perché l’agricoltura agli occhi di molti “processatori da bar” è quella che prende e non dà, è quella che usufruisce dei contributi europei e beneficia sempre delle esenzioni.

Mai come ora, l’agricoltura è stata dipinta come “l’isola felice”, perché “è l’unico settore trainante della nostra economia” (?), perché “se vogliamo ripartire, bisogna ripartire dall’agricoltura”.

Bene. Troppo bene. In realtà, carte alla mano, le cose non stanno proprio così. Se l’agricoltura riesce a cavicchiarsela (in alcuni casi), è perché la crisi la conosce da tempi remoti, perché le prime crisi di mercato risalgono ai primi anni novanta e continuano tuttora, intervallate da alcune false speranze, che altro non erano che boccate d’ossigeno per evitare l’asfissia.

Eppure, nonostante il mercato dei cereali sia ai minimi storici, nonostante interi raccolti di frutta distrutti perché il prezzo di mercato non copriva neppure le spese di raccolta, nonostante la profonda crisi del settore latte, nonostante il rating bassissimo delle banche, nonostante i costi di produzione alle stelle, nonostante le 140mila aziende chiuse nel 2013, c’è ancora chi ostenta la ricchezza di questo settore.

Detto ciò, torniamo all’Imu.

Appena uscita la notizia dell’esenzione per coltivatori diretti e Iap, è iniziata la corsa frenetica delle associazioni di categoria per issare le bandiere sul risultato raggiunto.

Succede però, che nei 655 comuni parzialmente esenti, beneficino dell’esenzione soltanto i coltivatori diretti proprietari e regolarmente iscritti nella previdenza agricola.

Succede però che esistono numerosissimi casi in cui, Coltivatori diretti o Iap, raggiunta l’età pensionabile, non essendo più iscritti al regime previdenziale, abbiano ceduto in affitto (magari ad un figlio, subentrato alla conduzione dell’azienda, vista come unico sbocco a fronte della crisi occupazionale) i loro beni produttivi.

Succede però che questi ex coltivatori, si ritrovino a pagare fino a 100 €/ha in media, dopo una vita di sacrifici e di rinunce per acquistare qualche centinaia di metri quadrati di terreno in più per la loro attività. Succede, di fatto, che un ex coltivatore diretto, proprietario di 10 ha di terreno, che percepisce una pensione di 500 € mensili, si trovi a pagare 1.000 €/anno di Imu, per andare a finanziare un bonus di 80 € mensili (spot elettorale) sulla busta paga di chi, percepisce una mensilità pari a 3 volte la sua.

Ma si sa, la terra è capitale, e il capitale, non può rimanere in mano a contadini.

Fonte: http://www.agricoltura24.com/imu-agricola-cronache-da-un-isola-infelice/0,1254,54_ART_9068,00.html

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Il calo dei consumi che va avanti da anni non era sufficiente. Le ritorsioni russe all’embargo europeo neanche. Allora, per dare un altro colpo all’agricoltura italiana ci voleva l’Europa. Un doppio colpo: il taglio dei fondi della Pac (politica agricola comune) di oltre sei miliardi di euro, in termini reali, per il periodo 2014-2020; e l’abolizione delle quote latte dal 2015. Proprio quelle che i leghisti, ma non solo, volevano a tutti i costi abolire e di cui oggi stanno scoprendo l’importanza, perché la loro abolizione ci farà sommergere di latte dell’Est a basso prezzo. Può bastare? No, perché la Commissione europea ha in mente di tagliare altri 448,5 milioni di euro dalla Pac, per finanziare altre politiche a corto di risorse, le misure contro la diffusione del virus Ebola e soprattutto il problema del blocco russo all’ importazione.

Pac, le forbici europee

Forse non tutti lo sanno, ma alle politiche agricole viene destinata la parte maggiore dei fondi europei. L’Europa si è fatta le ossa proprio sull’agricoltura e ha messo a punto parlando di campi e bestiame gli strumenti di negoziazione, complessi al limite del barocco, che oggi vengono presi a modello per l’unione bancaria. Fino agli anni Ottanta alla Pac andava il 70% del bilancio Ue, a sua volta pari a circa l’1% del Pil degli Stati dell’Unione. Poi il peso è cominciato a scendere inesorabilmente, di settennato in settennato. Nel 2007-2013 la quota era calata al 43 per cento. Per il 2014-2020, dopo due anni e mezzo di discussioni interminabili, è stata fissata al 38 per cento. In soldoni, sono 362,79 miliardi di euro.

Negli ultimi decenni la scelta di Parlamento, Commissione e Paesi membri è stata quella di far crescere gli stanziamenti per la competitività e per la coesione sociale, sia con una ripartizione tra Stati sia con programmi che premiano i progetti europei sulla base della qualità, indipendentemente dalla provenienza, come Horizon 2020. Così alla Politica agricola comune (che rappresenta la quasi totalità della Rubrica 2 del bilancio Ue, o Qfp nel gergo inaccessibile di Bruxelles) nel periodo 2014-2020 sono stati tagliati fondi, rispetto ai sette anni precedenti, per l’11,3 per cento, ossia per 47,5 miliardi di euro. Questo se si ragiona a prezzi costanti del 2011, cioè quelli che contano veramente, mentre c’è un minimo avanzamento se si tengono in considerazione i prezzi a valore corrente.

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Fonte: Gruppo 2013, la Pac 2014-2020, Le decisioni dell’Ue e le scelte nazionali. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui

Chiaro? Allora siete pronti per la seconda tornata di numeri. La Pac si basa su due componenti, che vengono chiamate pilastri. Il primo è quello dei pagamenti diretti agli agricoltori, sussidi veri e propri, che pesano, per capire che non si parla di briciole, attorno al 20% del reddito delle aziende agricole, inteso come differenza tra ricavi e costi. C’è poi il secondo pilastro, quello per lo sviluppo agricolo: sono i soldi che l’Europa mette per i progetti destinati all’agricoltura, con un finanziamento del 50 per cento. L’altra metà la mettono gli Stati oppure le regioni. Il primo pilastro è quello che è stato tagliato di più: da 317 a 277 miliardi di euro, il 12% in termini costanti.

Il nuovo taglio per la crisi russa

Se tutti questi tagli sono già stati decisi, e indietro non si torna, per il bilancio 2015 è in corso una nuova battaglia. La Commissione Ue si è detta intenzionata a tagliare le risorse destinate alla Pac di altri 448,5 milioni di euro. Per essere più precisi, ha deciso che questi soldi, che farebbero parte di una riserva per emergenze legate all’agricoltura (da una malattia delle piante alla mucca pazza), siano usati per fronteggiare l’emergenza Ebola e la crisi russa. I ministri dell’agricoltura dei Paesi Ue, il cosiddetto Consiglio dell’agricoltura, hanno annunciato battaglia e chiesto al nuovo Commissario europeo all’Agricoltura, Phil Hogan, di fare marcia indietro. Lo stesso hanno fatto i cordinatori dei maggiori gruppi politici nel Parlamento europeo. La decisione è attesa per il 15 novembre, quando il Consiglio deve trovare un accordo con il Parlamento europeo sulla revisione del budget.

Italia, pagamenti diretti giù del 20 per cento

Eccoci all’Italia. Sui nostri campi pesavano due macigni: da una parte il taglio generalizzato della Pac a livello europeo. Dall’altra due parole in apparenza innocue, “convergenza esterna”. Il cui significato è però pesante: i Paesi che negli anni precedenti avevano ricevuto una quota maggiore di risorse dalla Pac dovranno dare parte delle risorse a chi ne riceveva al di sotto della media. Entro il 2019 chi ha avuto nel 2009 pagamenti diretti (primo pilastro) inferiori al 90% della media dovrà avere il 30% di risorse in più. I beneficiari, sottolinea uno studio del Gruppo 2013 di Coldiretti, sono soprattutto i Paesi dell’Est: Romania, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia e Slovacchia, ma anche Spagna, Regno Unito e Portogallo.

Il costo in termini di minori pagamenti diretti per gli agricoltori è di circa 280 milioni l’anno. A valori costanti, le risorse di pagamenti diretti della Pac si ridurranno del 18,6% (da 29,4 a 24 miliardi), rispetto a una riduzione della media Ue del 12 per cento. Se si considera che le misure relative alla regolazione dei mercati agricoli (la cosiddetta Ocm) si riducono a prezzi costanti del 28 per cento (da 4,7 a 3,3 miliardi), tutto il primo pilastro scende del 20% a prezzi costanti, cioè 6,8 miliardi. Se si ignorasse l’inflazione il calo sarebbe di 8 punti percentuali, pari a 2,75 miliardi.

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Fonte: Gruppo 2013, la Pac 2014-2020, Le decisioni dell’Ue e le scelte nazionali. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui

Il recupero sullo sviluppo

Siamo quindi stati soltanto bastonati dalla Ue? Per fortuna no. Nelle contrattazioni siamo stati in grado di recuperare sul secondo pilastro, quello destinato agli interventi di sviluppo agricolo. Mentre l’Europa tagliava su questa voce i fondi dell’11% (10,8 miliardi), Italia e Francia sono riuscite a farsi aumentare i fondi: noi dell’1,4% (128 milioni a prezzo costanti in sette anni), i cugini d’Oltralpe del 14% (1,1 miliardi). A prezzi costanti (del 2011) possiamo disporre di 9,266 miliardi, a cui dovranno corrispondere altrettanti fondi di Stato e regioni.

A conti fatti, l’Europa ci dà 41,2 miliardi di euro per la Pac (36 a prezzi costanti). Sui giornali e nelle dichiarazioni dei politici si parla invece sempre di 52 miliardi. Perché? Perché si considerano anche 10,4 miliardi che saranno messi dal cofinanziamento nazionale.

Quanto perdiamo in totale? Considerando i prezzi costanti del 2011, 6,72 miliardi di euro, da 43,3 a 36,6 miliardi. Considerando i valori nominali, 1,31 miliardi, da 42,5 a 41,2 miliardi.

Su come distribuire i fondi tra regioni e Stato le polemiche non sono mancate. Le coperture assicurative o i consorzi di difesa, per esempio, spiega a Linkiesta Ettore Prandini, presidente di Coldiretti Lombardia, sono passate dal primo pilastro (tutti fondi europei passate allo Stato) al secondo. «Ci sono alcune risorse che dovevano essere in capo al primo pilastro e a cui invece è stato chiesto il cofinanziamento alle regioni», commenta. Ma aggiunge che ci sono stati anche dei miglioramenti: «Con le nuove regole c’è una premialità maggiore per le regioni che hanno speso meglio in passato. Così alla Lombardia spetterà il 13% in più per il secondo pilastro, ossia 131 milioni di euro - commenta Prandini -. Inoltre, se una regione spende il 100% e un’altra regione spende, per propria inefficienza, il 50%, la metà rimanente potrà essere usata dalle altre regioni».

Pagatori puniti

L’Italia ha ricevuto soldi dalla Pac in modo superiore alla media, e per questo sarà penalizzata. Ineccepibile. Meglio però ricordare che noi, come gli altri Paesi “ricchi”, diamo più soldi al bilancio europeo di quanti ne riceviamo. Di quanto? Nel 2012, a prezzi correnti, il saldo netto era negativo per 5 miliardi di euro (a prezzi correnti), considerando tutto il bilancio (Qfp), di cui la Pac pesa per circa quattro decimi. Nel periodo 2007-2013 la media è stata di 4,5 miliardi all’anno (a prezzi costanti del 2011). La buona notizia è che nel periodo 2014-2020 il contributo calerà, e sarà di 3,8 miliardi ai prezzi del 2011.

C’è un altro aspetto da considerare, dice Pino Cornacchia, responsabile dello sviluppo economico della Cia, Confederazione italiana agricoltori. «È vero che diamo più soldi alla Ue di quanti ne riceviamo. Ma se non ci fosse la Ue, l’Italia non spenderebbe mai una cifra pari a quella della Pac per finanziare l’agricoltura europea, metterebbe i soldi su altre voci di spesa, come la sanità».

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Fonte: Gruppo 2013, la Pac 2014-2020, Le decisioni dell’Ue e le scelte nazionali. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui

Vino, pomodori, vacche: vincitori e vinti

Le novità su chi beneficerà dei fondi non riguardano solo i soldi per lo sviluppo che vanno alle regioni. Le due parole magiche in questo caso sono “convergenza interna”. Chi riceveva di più, questa volta tra le categorie di prodotti, dovrà cedere i fondi a chi prendeva di meno. Un titolo (cioè un sussidio, nel gergo europeo) che oggi vale mille euro all’ettaro, nel 2015 varrà circa 800, per effetto dei tagli di bilancio. Poi, nel 2017, potrà ridursi fino al 30% a partire dal valore del 2015. Prodotti come la zootecnia da carne, i pomodori da industria, il tabacco e il riso, spiega a Linkiesta Denis Pantini, direttore dell'Area Agroalimentare di Nomisma, avevano un sussidio di circa mille euro all’ettaro. Altri, come il vino o la frutta, non avevano nulla, e cominceranno a ricevere i fondi. Il valore medio a cui tendere è di 280 euro a ettaro. Ma non si arriverà subito, perché vino e frutta nel 2017 arriveranno al 60% di questa cifra, quindi 150 euro, mentre chi aveva mille non potrà scendere più del 30 per cento rispetto al valore del 2015.

Al di là dei numeri, le conseguenze si faranno sentire e l’impatto sarà diverso da regione a regione. Le zone di montagna escono vincitrici, perché i pascoli saranno per la prima volta sussidiati. Stesso discorso per l’Emilia-Romagna e la Toscana, zone produttrici di frutta, e per tutte le regioni che producono vino. Le zone produttrici di pomodori da industria, come Campania o Sicilia, escono invece sconfitte, anche perché tagli arriveranno anche per oliveti e agrumeti. Ne esce abbastanza malconcia anche la Lombardia, per i suoi allevamenti animali. Secondo Prandini il calo si sentirà, ma i timori erano di tagli ben maggiori. «In Lombardia si prevedeva fino a un anno fa una riduzione del 40-60 per cento. Ora, grazie alle correzioni sulla zootecnia, saranno del 10-15 per cento».

A fissare le nuove regole, dopo una lunga negoziazione con le regioni, è stato un decreto del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf), approvato il 31 ottobre scorso.

Chiusure in vista?

Sono tagli che mettono a rischio la sopravvivenza delle aziende agricole? «In un momento già difficile per l’agricoltura italiana, il taglio deciso dalla Ue è significativo e mette in difficoltà le nostre imprese - commenta Prandini di Coldiretti -. Purtroppo oggi le risorse che provengono dalla Pac sono fondamentali per determinare una chiusura in positivo o in negativo di un bilancio. Ci accorgiamo del ruolo dell’agricoltura solo quando ci sono casi di dissesto agricolo, e ne ignoriamo i problemi per il resto del tempo. Spesso se ci sono smottamenti è perché le aziende hanno lasciato attività che non erano più redditizie». Per aziende di zootecnia che producono carne (esclusa quella suina) o latte, i sussidi pesano per circa il 15% del fatturato, aggiunge Prandini.

Secondo Pantini, Nomisma, il problema è però meno grave. «Il taglio incide solo sulle aziende che hanno la marginalità più bassa, cioè su chi si affida ai sussidi per sopravvivere».

Anche per Cornacchia, della Cia, il taglio atteso era molto superiore a quello effettivo. «A fronte della discesa dei contributi diretti, c’è stato un aumento di fondi per lo sviluppo rurale. Sono questi strumenti che creano lo sviluppo, molto più dei sussidi, a patto di saperli usare bene».

L’aeroporto saluta i sussidi

Tra gli aspetti della nuova Pac, così come decisa dal decreto ministeriale del Mipaaf del 31 ottobre, ce ne sono anche altri visti con favore dagli agricoltori. Tra questi c’è stato il taglio di tutti i pagamenti diretti a una serie di soggetti che non c’entravano nulla con l’agricoltura. L’elenco è lungo: aeroporti, servizi ferroviari, impianti idrici, servizi immobiliari, terreni sportivi e aree ricreative permanenti, soggetti che svolgono intermediazione bancaria, finanziaria e/o commerciale, società, cooperative e mutue assicurazioni che svolgono attività di assicurazione e/o di riassicurazione, pubbliche amministrazioni. Ma quanto pesavano i fondi dati a tutti questi soggetti? Non troppo, avverte Pantini di Nomisma: circa il 2-3% dei fondi per i pagamenti diretti. Considerato che nel 2007-2013 i pagamenti diretti sono stati pari a 29 miliardi, si parlerebbe comunque di più mezzo miliardo di euro in sette anni. Dal Mipaaf, tuttavia, parlano di cifre molto più basse, nell’ordine di 15 milioni di euro.

Secondo Prandini, Coldiretti, è un’ottima notizia, «perché i pagamenti per un prato verde in un aeroporto erano un’anomalia. Stante che i soldi sono diminuiti, è giusto che vadano a chi è effettivamente un agricoltore».

In effetti lo scopo dell’esclusione di questi soggetti è dovuta all’individuazione dei “coltivatori attivi”, cioè delle persone che davvero lavorano la terra. Sono stati individuati dei criteri (come il fatto che i terreni non siano troppo piccoli), ma spiega Cornacchia della Cia, «si poteva fare molto di più ed essere molto più selettivi».

Tra le novità c’è quella di aver messo un tetto ai sussidi, che non potranno superare i 500mila euro (esclusi i benefici sui contributi per i lavoratori). Chi riceve più di 150mila euro, inoltre, si è visto tagliare i pagamenti diretti del 50 per cento. Anche questo, per Prandini è positivo: «È giusto concentrare le risorse su chi di agricoltura vive. Chi riceveva più di 500mila euro di sussidi spesso era legato a una banca o a una compagnia di assicurazioni».

Braccia ridate all’agricoltura

Una delle poche voci cresciute, tra i tagli dei pagamenti diretti, è quella dei fondi per i giovani. Saranno aumentati del 25% e toccheranno 80 milioni di euro. Si tratta di aiuti diretti per aziende agricole condotte da under 40. Un segnale positivo, che è volto a incoraggiare una crescita degli occupati tra i giovani in agricoltura che è continuata nonostante (o forse proprio grazie) alla crisi economica.

 La battaglia del greening

Un altro aspetto su cui gli operatori tirano un sospiro di sollievo è quello del greening. Di che si tratta? Di una serie di misure che la Ue prevede per interventi ambientali e paesaggistici. La Pac, infatti, negli anni è passata dal concentrarsi solo su aspetti di produzione a misure di tipo anche ambientale, dettate dal Regolamento 1307/2013. Tre sono le misure da prendere: la diversificazione delle colture, il mantenimento dei prati permanenti e l’introduzione di “aree di interesse ecologico”. Non si tratta di briciole, perché alla componente verde dei pagamenti diretti è riservato il 30% del massimale nazionale. In soldoni, l’Italia se non rispetta le regole rischia di perdere un miliardo all’anno.

Anche su questo però si è trovata una mediazione. Gli Stati dell’Europa del Sud hanno fatto notare che è più facile mettere aree di interesse ecologico (per il 5% della superficie) su un prato di pascolo piuttosto che in un filare di viti o in uliveto. È quindi rimasta, spiegano tutti gli interlocutori, una versione più blanda, che prevede la rotazione dei terreni. Fino a 30 ettari sarà necessario avere almeno due colture contemporaneamente, oltre i 30 ettari di terreno almeno tre colture. Una misura che può penalizzare i produttori di mais o di riso del Nord Italia, ma che è spesso già praticata autonomamente per evitare l’impoverimento dei terreni da monocoltura.

E le quote latte?

Sono state la grande battaglia della Lega Nord, che difese in mille modi gli “splafonatori”, cioè gli allevatori che produssero più latte di quanto consentito dagli accordi con l’Ue (decisi nel 1983) e che furono perciò multati. Una serie di coperture politiche agli allevatori, ricostruite in un articolo di Sergio Rizzo del Corriere della Sera, costò allo Stato italiano un conto da 4,5 miliardi di euro. Dal 2015 le famose quote latte saranno abolite. I produttori sono contenti? Tutt’altro. «È una pessima notizia - commenta Prandini di Coldiretti - perché le quote latte hanno garantito che ci fosse una produzione limitata e che fosse tutelata la qualità. Ora ci saranno Paesi europei che aumenteranno tantissimo i volumi» e quindi abbasseranno i prezzi. E le multe? «Ci siamo distinti come un Paese che non rispetta le norme - continua -. Non saremmo a parlare di multe 25 anni dopo, se avessimo rispettato le regole». Ora sarà il mercato a dettare le sue.

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logo-eima-international-2014Dal 12 al 16 Novembre si terrà a Bologna l'Esposizione Internazionale di Macchine per l'Agricoltura e il giardinaggio. Attraverso i link qui sotto potete accedere al sito ufficiale della Fiera e ai principali convegni proposti su le prospettive e opportunità per i giovani in agricoltura e su l'innovazione.

sito EIMA e convegni 1 , convegni 2

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117165_420x270Regime facoltativo 

Il Reg. Ue 1307/2013 (artt. 60-65) prevede la possibilità di attivare un regime per i piccoli agricoltori, con un pagamento annuale forfettario che sostituisce tutti i pagamenti diretti. Non si tratta di una tipologia di pagamento, come nel caso dei giovani agricoltori, ma di un regime che persegue l’obiettivo della semplificazione amministrativa. 

Il regime per i piccoli agricoltori è facoltativo per gli Stati membri; l’Italia ha deciso di attivarlo. Il regime è facoltativo pure per gli agricoltori; anche se l’Italia ha deciso di atti- 2014-2020 Opzione da esercitare entro il 15-9-2015 di Angelo Frascarelli varlo, gli agricoltori sono comunque liberi di scegliere se partecipare o no. 

Due scadenze: 15 maggio e 15 settembre 

I piccoli agricoltori presentano la Domanda di assegnazione dei nuovi titoli e domanda di pagamento (Domanda Unica) al 15 maggio 2015 come tutti gli altri agricoltori. 

Gli agricoltori che intendano partecipare al regime per i piccoli agricoltori devono presentare una domanda aggiuntiva entro il 15 settembre 2015 (tab. 1).

Agea deve comunicare l’importo del pagamento che spetta al piccolo agricoltore in tempo utile per permettergli di fare una scelta consapevole. Quindi il piccolo agricoltore presenterà la domanda di pagamento entro il 15 maggio 2015, come tutti gli altri agricoltori, attenderà la comunicazione di Agea relativa all’importo del pagamento e deciderà se presentare la domanda di partecipazione al regime entro il 15 settembre 2015. 

Chi non entrerà nel regime dei piccoli agricoltori entro il 15 settembre 2015, non potrà più accedervi in una fase successiva, ma potrà comunque beneficiare dei pagamenti diretti seguendo le regole previste per gli agricoltori normali. Il piccolo agricoltore può decidere di recedere dal regime dei piccoli agricoltore in un anno successivo al 2015, ma non potrà più rientravi. 

Importo del pagamento 

L’importo del pagamento annuo per ciascun agricoltore prevede un livello massimo di 1.250 euro/azienda. Tutti gli agricoltori possono partecipare al regime dei piccoli agricoltori, anche chi percepisce più di 1.250 euro, purché accetti un livello massimo di sostegno pari a 1.250 euro/azienda. 

Gli Stati membri fissano l’importo del pagamento annuo per ciascun agricoltore che partecipa al regime dei piccoli agricoltori, in base a quattro diversi metodi. L’Italia ha scelto il metodo storico: l’importo per i piccoli agricoltori è pari al totale dei pagamenti da assegnare all’agricoltore, qualora avesse fatto domanda come un agricoltore normale. Quindi i piccoli agricoltori ricevono semplicemente l’importo che avrebbero ricevuto altrimenti, pur avendo i vantaggi di semplificazione del piccolo agricoltore (tab. 1). 

Per finanziare il pagamento per i piccoli agricoltori, gli Stati membri deducono gli importi dai massimali dei rispettivi pagamenti sostituiti: pagamento di base, pagamento ecologico, pagamento per i giovani agricoltori e pagamento accoppiato. Quindi il regime per i piccoli agricoltori non assorbe un percentuale del massimale nazionale, in quanto il regime è sostitutivo degli altri pagamenti. Il pagamento per i piccoli agricoltori sarà adattato ogni anno per tenere proporzionalmente conto delle modifiche del massimale nazionale. Il massimale nazionale passerà da 3.902 milioni di euro nel 2015 a 3.704 milioni di euro nel 2020, quindi la riduzione del pagamento per i piccoli agricoltori tra il 2015 e il 2020 sarà del 5%.

I vantaggi 

In Italia, gli agricoltori potenzialmente interessati al regime semplificato sono moltissimi. Attualmente in Italia i beneficiari sotto i 1.000 euro sono il 59%, anche se assorbono solo il 7,2% del massimale nazionale (tab. 2). Si stima che gli agricoltori al di sotto di 1.250 euro di pagamenti diretti siano circa 750.000, pari circa due terzi degli attuali beneficiari, anche se essi assorbono meno del 10% del massimale nazionale. Gli agricoltori che partecipano al regime hanno una serie di vantaggi: 
- sono esonerati dalle pratiche agricole del greening; 
- la domanda di accesso al sostegno è più semplice; 
- la condizionalità e i controlli sono semplificati. 

Il regime di sostegno semplificato per i piccoli agricoltori stimola una considerazione. La nuova Pac intende tutelare e favorire la presenza dei piccoli agricoltori, in quanto viene riconosciuto il loro contributo alla vitalità delle zone rurali. 

L’Ue afferma, infatti, che il regime dei piccoli agricoltori dovrebbe prefiggersi l’obiettivo di sostenere l’attuale tessuto agricolo dell’Unione, caratterizzato da aziende di piccole dimensioni, senza che ciò vada a detrimento dell’evoluzione verso strutture più competitive.

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117025_420x270Nella storia della Pac le misure a favore del ricambio generazionale sono sempre state collocate nell’ambito del 2° pilastro (PSR). Con la Pac 2014-2020, per la prima volta un sostegno all’insediamento dei giovani agricoltori viene inserito nel 1° pilastro con l’introduzione di una componente obbligatoria nel nuovo regime dei pagamenti diretti. L’Ue sostiene che la presenza di attività economiche gestite da giovani agricoltori è un aspetto essenziale per la competitività del settore agricolo, per cui è opportuno sostenere l’insediamento iniziale dei giovani e l’adeguamento strutturale delle relative aziende nella fase successiva all’insediamento. A tal fine, nei pagamenti diretti della nuova Pac 2014-2020 è previsto un pagamento per i giovani agricoltori. 

1% del massimale ai giovani

Il Reg. 1307/2013 prevede7 tipologie di pagamenti diretti di cui 3 obbligatorie e 5 facoltative per gli Stati membri. L’Italia ha deciso di attivare 5 tipologie di pagamenti (tab. 1): 
- pagamento di base: 58% del massimale nazionale; 
- pagamento ecologico (greening): 30%; 
- pagamento per i giovani agricoltori: 1%; 
- pagamento accoppiato: 11%; 
- pagamento per i piccoli agricoltori. 
Ai giovani agricoltori è stato destinato un plafond dell’1% del massimale nazionale.

I beneficiari: 40 anni per i primi 5 anni

I beneficiari del pagamento sono le persone fisiche che possiedono i seguenti requisiti: 
- età inferiore ai 40 anni; 
- si insedino per la prima volta come capo-azienda, o che si siano già insediate nei 5 anni che precedono la prima presentazione di una domanda per aderire al regime del pagamento di base (quindi la data limite è il 15 maggio 2010). 

Il pagamento è limitato alla fase iniziale del ciclo di vita dell’impresa e non deve trasformarsi in un aiuto al funzionamento, per cui esso è concesso per un periodo di cinque anni
Se l’insediamento è avvenuto prima del 2015, il periodo quinquennale viene ridotto del numero di anni trascorsi tra la data del primo insediamento e la data della prima domanda per aderire al regime del pagamento di base, ovvero il 2015. Ad esempio, se un giovane agricoltore si è insediato nel 2013, il pagamento per i giovani agricoltori viene concesso per tre anni (2015, 2016 e 2017).

Il plafond 

Il Reg. 1307/2013 prevede che il plafond destinato al pagamento per i giovani agricoltori non può essere superiore al 2% del massimale nazionale. L’Italia haprevisto una percentuale dell’1%. Questa scelta potrebbe essere interpretata come un segnale di scarsa attenzione ai giovani agricoltori, ma non è così. Le motivazioni che hanno ispirato questa scelta sono due: 
1. evitare una sottoutilizzazione del plafond, che avrebbe comportato fondi inutilizzati che sarebbero tornati nelle casse comunitarie; 
2. utilizzare la riserva nazionale per coprire il fabbisogno necessario a soddisfare tutte le richieste dei giovani agricoltori. 
Con questa scelta i giovani agricoltori italiani hanno la certezza di percepire il livello massimo di pagamento ammissibile. Infatti, anche con un massimale dell’1%, l’Italia garantisce la quota massima di finanziamento ai giovani agricoltori attingendo, se necessario, alla riserva nazionale.

L’importo del pagamento

L’importo del pagamento, sulla base delle scelte italiane, si ottiene moltiplicando il numero dei titoli attivati dall’agricoltore per il 25% del valore medio dei titoli all’aiuto detenuti dall’agricoltore stesso, in proprietà o in affitto. In altre parole, il giovane agricoltore percepisce un pagamento maggiorato del 25% del pagamento di base. 

Questo metodo di calcolo suscita molte perplessità. Infatti il pagamento è proporzionale al valore dei titoli individuali; quindi un giovane agricoltore che ha ereditato da un genitore titoli di valore elevato, ottiene un pagamento elevato e viceversa. 

In questo modo lo status di giovane agricoltore viene premiato in modo differente, tenendo conto del valore dei titoli storici invece che della condizione anagrafica. 

La Conferenza Stato-Regioni ha giustificato questa scelta con il fatto che questo metodo di calcolo garantisce il più alto livello di erogazione a favore dei giovani agricoltori nel complesso del nostro Paese, anche se genera un trattamento variabile e iniquo tra un giovane e l’altro. 

Il numero massimo di ettari ammissibili al pagamento è stato fissato a 90. Ad esempio un giovane agricoltore che possiede 200 ettari, percepisce il pagamento per 90 ettari. 

Gli effetti 

Il pagamento ai giovani agricoltori è un segnale politico importante che dimostra l’attenzione della Pac nei confronti delle imprese giovani e del ricambio generazionale in agricoltura. 

Dal punto di vista pratico, tuttavia, il beneficio per un giovane agricoltore è limitato; l’importo del pagamento è di limitata entità e non apporta un miglioramento significativo del risultato operativo aziendale. La media italiana del pagamento sarà pari a circa 45 €/ha; infatti l’importo medio del pagamento di base sarà di circa 179 €/ha a cui corrisponde un pagamento per i giovani agricoltori di 45 €/ha. Esemplificando, un giovane agricoltore con il massimo degli ettari ammissibili (90 ha) riceverà circa 4.000 €/ha per cinque anni. Quindi un giovane agricoltore che si insedia e presenta domanda alla riserva nazionale nel 2015 (o anni successivi) percepirà i seguenti importi dei pagamenti diretti: 
- pagamento di base: 179 €/ha; 
- pagamento per giovani agricoltori: 45 €/ha; 
- pagamento verde: 93 €/ha; 
- per un totale di 317 €/ha circa cui si aggiunge il sostegno accoppiato, se il giovane agricoltore pratica una coltura o un allevamento che rientrano in tale pagamento. 

La situazione è diversa se il giovane possiede diritti di valore elevato derivanti dalla sua situazione storica (ad es. perché si è insediato prima del 2015) o perché ha ereditato da un genitore diritti di valore elevato. 

Un esempio di questo secondo caso è riportato in tab. 3 dove un giovane agricoltore si insedia nel 2015, ereditando i diritti del genitore, che possedeva titoli di valore superiore alla media nazionale; in tal caso il pagamento per il giovane agricoltore è di circa 100 €/ha;, ben superiore rispetto ai 45 €/ha; (media nazionale) di cui abbiamo parlato sopra. Il giovane agricoltore subisce tuttavia gli effetti della convergenza, come tutti gli altri agricoltori (fig. 1). 

La prima volta nel 1° pilastro 

L’analisi del pagamento per i giovani agricoltori dimostra che l’importo è di piccola entità e, certamente, non sarà tale da convincere un giovane a insediarsi in un’azienda agricola. Tuttavia, la nuova Pac introduce per la prima volta un livello di aiuti riservato ai giovani agricoltori (anche se solo dell’1%); è l’inizio di un percorso che potrà essere potenziato nelle prossime riforme della Pac. 

Inoltre, bisogna ricordare che la politica più importante a favore dei giovani continua ad essere collocata nel secondo pilastro dove, in continuità con le azioni intraprese durante la programmazione 2007-2013, Vi sono misure più consistenti a sostegno dell’imprenditoria giovanile (premio di insediamento, incentivi agli investimenti aziendali), con la novità di poter attivare un sottoprogramma specifico per i giovani agricoltori.

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DSC_0599L’agricoltura conferma e rafforza il suo ruolo di forza motrice dell’economia nazionale e anche con il nuovo sistema di calcolo del pil rimane l’unico settore in territorio positivo, portandosi a un +0,6% di valore aggiunto in riferimento al 2013, il doppio di quanto registrato con il vecchio sistema di calcolo.

Una performance significativa, che l’agricoltura mette a segno dopo due anni negativi nel 2011 e 2012 e che si deve all’irrompere, come sottolinea Coldiretti, di nuove attività imprenditoriali che stanno incontrando un crescente consenso di pubblico. Dalla produzione di energie rinnovabili, alle fattorie didattiche, dagli agriasili, alle vendite dirette in azienda e nei mercati degli agricoltori, il business della campagna si irrobustisce con i nuovi filoni, proposti soprattutto da imprenditori giovani alla ricerca di soluzioni che battano la crisi e consentano quella redditività che sul fronte produttivo è praticamente scomparsa con l’aumento dei costi a carico delle aziende e la contemporanea diminuzione dei prezzi all’origine.

Sulla base di questi dati scintillanti, oscurati solo dal calo delle unità di lavoro, la Cia «chiede al governo di cominciare a investire sul serio sul comparto, nella considerazione che rappresenta un asset sempre più strategico per la ripresa nazionale».Per Confagricoltura i nuovi dati Istat «mettono in rilievo una dinamica positiva del valore aggiunto agricolo che lascia ben sperare. Siamo comunque al livello del 2009. Come dire che in questi cinque anni non è stata creata ricchezza. Mentre calano notevolmente nello stesso periodo le unità di lavoro impiegate (-7% rispetto al 2009), comunque meno di quanto flettono per industria e costruzioni (rispettivamente -10% e -16%)».

Intanto continuano a calare i consumi alimentari nei primi sette mesi, registrando su base annua -0,7% in valore e -1% in volume. Sono i dati Ismea-Gfk-Eurisko, che confermano un trend già riscontrato nel 2013, quando la spesa alimentare aveva subito una riduzione di oltre il 3%. Nel dettaglio, risulta pesante il bilancio per i lattiero caseari (-4,8% le quantità acquistate dalle famiglie italiane), soprattutto a scapito di latte e formaggi freschi. Si attenua invece la dinamica negativa per l’ortofrutticolo (-1%), a fronte però di prezzi al consumo inferiori ai livelli dello scorso anno. Risalgono la china gli acquisti di carni che, dopo il pesante stop del 2013, recuperano complessivamente mezzo punto percentuale. A trainare il comparto è ancora il pollame, il meno caro.



Fonte: http://www.agricoltura24.com/nuovo-pil-agricoltura-unico-settore-positivo/0,1254,54_ART_8675,00.html

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Offriamo la nostra consulenza alle aziende agricole che intendono partecipare al Bando Fipit dell' INAIL 2014

L' INAIL sostiene le piccole e micro imprese, comprese quelle
individuali, operanti nei settori dell’agricoltura, dell’edilizia, dell’estrazione e
lavorazione dei materiali lapidei, nella realizzazione di progetti di innovazione
tecnologica per gli impianti, le macchine e le attrezzature mirati al miglioramento delle
condizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, nel rispetto delle vigenti
disposizioni di legge.

Per il 2014 il bando Fipit mette a disposizione 30 milioni di euro ripartiti tra i tre settori di attività. I fondi di settore sono a loro volta suddivisi in budget regionali e provinciali come previsto nei relativi bandi. Dal 3 novembre 2014 e fino alle ore 18.00 del 3 dicembre 2014 le aziende avranno la possibilità di presentare la domanda di accesso al presente bando.

Sono ammessi a contributo unicamente i costi relativi all’ acquisto/adeguamento di
impianti, macchine o attrezzature. fonte

 

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grano3Accordo raggiunto tra il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina e gli Assessori regionali all'Agricoltura sull'attuazione in Italia della Politica agricola comune 2014-2020, che vale 52 miliardi di euro. Lo comunica una nota del dicastero. "L'accordo arriva dopo un lungo lavoro con le Regioni - afferma il ministro - che ci consente oggi di scrivere un capitolo importante della nuova Pac, mantenendo l'impegno di chiudere entro maggio. Abbiamo fatto scelte decisive per il futuro e per il rilancio dell'agricoltura guardando a settori strategici''.

Tra le principali decisioni, la ripartizione degli aiuti accoppiati, per i quali è stata fissata una quota all'11%, pari a oltre 426 milioni di euro, lasciando il 4% delle risorse al pagamento di base. I settori sui quali sono state concentrate le risorse sono: zootecnia da carne e da latte, piano proteico e seminativi (riso, barbabietola e pomodoro da industria), olivicoltura. Per incentivare il lavoro giovanile, è prevista la maggiorazione degli aiuti diretti nella misura del 25% per i primi 5 anni di attività per le aziende condotte da under 40, assicurando il livello massimo di plafond disponibile che ammonta a circa 80 milioni di euro.

Il perimetro dei soggetti beneficiari della Pac, con allargamento della "black list" ed esclusione dai contributi delle banche, società finanziarie, assicurative e immobiliari. Riduzione del 50% dei pagamenti diretti sulla parte eccedente i 150.000 euro del pagamento di base e del 100% per la parte eccedente i 500.000 euro. In tale ambito è stato valorizzato al massimo il lavoro in quanto dal taglio saranno esclusi i costi relativi alla manodopera, salari stipendi, contributi versati a qualsiasi titolo per l'esercizio dell'attività agricola; Misure di sostegno per le aree svantaggiate e di montagna, per le quali è stata individuata una diversificazione delle condizioni per essere considerati agricoltori attivi e un premio differenziato per il latte di montagna.

È stato anche stabilito che nel 2016 verranno effettuate verifiche sull'operatività e sull'attuazione delle nuove misure, alla luce anche delle scelte che verranno compiute dagli altri partner europei. Il ministro Martina ha parlato ''scelte decisive per il futuro e per il rilancio dell'agricoltura, guardando in particolare a settori strategici come la zootecnia e l'olivicoltura e programmando un piano proteico nazionale e il sostegno a colture come la barbabietola, il riso e il pomodoro da industria. Fondamentali anche le scelte di una più equa distribuzione delle risorse.

Abbiamo privilegiato il lavoro e i giovani, proprio perché questo settore può essere protagonista del rilancio economico del Paese". "Ringrazio i colleghi assessori - ha dichiarato l'Assessore della Regione Puglia e coordinatore nazionale degli assessori regionali all'Agricoltura, Fabrizio Nardoni - per il grande senso di responsabilità dimostrato nel costruire una proposta unitaria, che testimonia la volontà di dare agli agricoltori più tempo possibile per adeguarsi alla riforma. Pur nella difficoltà della nuova Pac, il sistema delle Regioni, collaborando con il Ministero, è riuscito a trarre un'intesa complessiva a favore del sistema agricolo e che tiene conto delle difficoltà dei settori produttivi".

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